Un film in VR per ripensare Matera
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Nel ventre di Matera dimora lo straordinario trittico pittorico Lucania ’61 di Carlo Levi nel quale sono racchiusi molti dei valori che, oggi come ieri, caratterizzano la Basilicata e la sua gente. Parliamo essenzialmente di frugalità, lentezza, appartenenza alla propria terra e al proprio ambiente, che fanno oggi di Matera non solo un landmark della “lucanità”, del Sud e del Mediterraneo ma un prototipo di città ecologica dove l’archetipo va finalmente a nozze con la modernità. L’intellettuale piemontese realizzò la monumentale opera in occasione del centenario dell’Unità d’Italia dedicandola al poeta lucano Rocco Scotellaro in onore della profonda stima che li legava. Scotellaro, nella prima tavola del dipinto, arringa la folla di contadini nella piazza di Tricarico con il suo abituale impeto di cittadinanza attiva per inneggiare quella nuova alba culturale per i Lucani che ha trovato oggi snodo cruciale in Matera Capitale Europea della Cultura 2019, con la quale la città si scrolla di dosso la scomoda etichetta di “vergogna nazionale” (cit. Palmiro Togliatti, 1948) per aprirsi resilientemente a nuovi destini e nuove identità. Lucania ’61 è pertanto il più bel “film antropologico” che ci parla di noi, gente del Sud, un’opera in cui in un tempo scolpito si erge la figura utopica di un banditore poeta, il Sindaco-contadino, che incitando i suoi conterranei cerca il progresso e l’emancipazione degli “ultimi” con la forza della parola e delle idee, pesanti come macigni nel grande vizio di ”autismo corale” che troppo spesso grava sul Mezzogiorno italiano.
Sono stati proprio loro, Levi e Scotellaro, i fuochi che hanno ispirato il progetto MaTerre realizzato da Rete Cinema Basilicata in coprogettazione con la Fondazione Matera-Basilicata 2019 e numerosi altri partner locali, nazionali ed internazionali.
Nei versi de La mia bella Patria (1949) abbiamo eletto la fragilità come quella cifra identitaria del vulnerabile uomo moderno sempre più assoggettato al famelico panottico contemporaneo che sta mettendo in seria crisi l’immaginario individuale e collettivo. Circoscrivendo la geografia di azione del progetto all’area Euro-mediterranea (oggi lo spazio geografico europeo più vitale), abbiamo invitato cinque registi e cinque poeti appartenenti a questo paesaggio culturale a partecipare ad un Cantiere Cinepoetico Euro-Mediterraneo (una residenza artistica internazionale tenutasi a Matera dal 18 aprile al 2 maggio 2019) per cimentarsi in situ in un’avventura prototipale di cinema di poesia immersivo in realtà virtuale a 360° che mette in relazione la luce, il paesaggio e le culture locali con sguardi Euro-Mediterranei. Si sono composte così cinque coppie creative formate da un regista e un poeta ciascuna, che hanno realizzato un film collettivo in VR. Punto di partenza dunque la tradizione culturale lucana che si coniuga con le più recenti innovazioni tecnologiche (post)cinematografiche.
La domanda di fondo che ci siamo posti è: chi sono oggi i nuovi contadini rappresentati nel dipinto di Levi al cospetto dell’Europa contemporanea? In tutta risposta abbiamo creduto nell’esercizio democratizzante della parola, parola declamata, versi non scritti ma performati nella spoken word di Eduard Escoffet, Yolanda Castaño, Domenico Brancale, Aurélia Lassaque e Nilson Muniz, i poeti che abbiamo invitato nel cantiere MaTerre. Abbiamo perseguito l’idea di alzare un coro interculturale per l’Europa, un coro plurale e inclusivo che potesse abitare il patrimonio dei Sassi e delle Chiese Rupestri di Matera in un magnifico cortocircuito tra origine del segno e parola. Accanto ai poeti, cinque filmmaker provenienti prevalentemente dal mondo del cinema del reale (Giuseppe Schillaci, Elena Zervopoulou, Blerina Goce), del videogiornalismo (Vito Foderà) e della videoarte (Gianluca Abbate). Cinque Sguardi obliqui, cinque (techno)contadini provvisti di action-cam quale utensile-dispositivo che potessero restituire uno Sguardo collettivo originale su Matera, affrancato dai codici della grande industria cinematografica internazionale che oggi ha identificato in essa l’idealtipo per un cinema cristologico seriale mainstream. Questi nuovi (tecno)contadini sono perlopiù sciamani che non lavorano la terra ma la interrogano in un gioco identitario di appartenenza sempre più liquido e ibridato, dove la frontiera rappresenta soltanto un codice nuovo linguistico, poetico e cinematografico non una finis terrae.
I cinque poeti hanno così realizzato un componimento poetico originale (nelle lingue minori del galiziano, catalano, occitano e del dialetto lucano) ispirato dai valori contenuti ne La mia bella Patria di Scotellaro: la terra, la libertà, la fragilità e la cittadinanza attiva. Questi versi nuovi sono diventati la traccia di sceneggiatura con la quale i cinque registi hanno realizzato i loro episodi (che non hanno continuità tra loro) impiegando, nella messa in scena, gli stessi poeti come attori/performer.
L’oneroso viaggio di co-progettazione che abbiamo portato avanti dunque è stato proprio quello di interrogarci sul sentimento di appartenenza all’Europa con sguardo meridiano, mediterraneo.
Il risultato finale, che si può apprezzare nella mostra allestita da Bruno Di Marino, negli spazi della chiesta rupestre di Santa Maria de Armenis, ci parla di un’esperienza fortemente innovativa di cinema espanso che libera lo sguardo e rifugge la sala cinematografica affermando la sua nuova identità in musei, gallerie d’arte e spazi non convenzionali.
Con la tecnologia VR i registi, rispetto al cinema classico, si sono confrontati con un diverso modo di pensare la mise en scène e quindi di guardare: non più attraverso un frame, una finestra di realtà ma a 360°, senza confini (come l’Europa che auspichiamo) tra il campo e il fuori campo da sempre codice del cinema classico.
Le nuove perfettibili tecniche audiovisive sono state per noi una sfida entro cui maturare una riflessione estetica (grazie anche al blog Carta d’identità e le sezioni Aenigmata e Identità armoniche sul sito web del progetto), poetica e giuridica sullo Sguardo identitario contemporaneo. MaTerre è un’opera che va fruita individualmente, in una visione individuale molto prossima a quella atomizzata del gaming a svantaggio di quella collettiva della sala cinematografica, che fortunatamente non morirà mai ma che ha già ceduto il passo – in termini industriali – proprio ai videogiochi e alla fruizione ubiqua di contenuti audiovisivi su dispositivi digitali.
MaTerre è un film che libera mekasianamente (“to free the cinema”!) il cinema da codici classici e prassi consolidate, lo mette in crisi, lo riformula senza cercare apparentamenti con grammatiche passate. Un filme falado, come direbbe Manoel de Oliveira, collettivo e vibrante che, completandosi nell’imperfezione, ci esenta dalla tirannia dello Sguardo del cinema classico per librarsi, aprirsi alla co-autorialità dello spettatore moderno sempre più affamato di contenuti esperienziali in cui ritrovarsi nel gioco nuovo dell’immedesimazione.
MaTerre è un progetto di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 coprodotto da Rete Cinema Basilicata e Fondazione Matera-Basilicata 2019 con il cofinanziamento della Fondazione Lucana Film Commission e il partenariato di Meditalents (Francia), Albanian National Film Center (Albania), Rattapallax (USA), Istituto Italiano di Cultura di Madrid (Spagna), CIRCE/Università di Torino (Italia), DAMS/Università della Calabria (Italia), Universosud (Italia), Noeltan Film (Italia)
Realizzato con il fondo etico di BCC Basilicata, Banca Etica
Con il patrocinio di CNA, Confederazione Nazionale Artigianato e Piccola e Media Impresa e Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo - Università degli Studi della Basilicata
Direttori artistici : Antonello Faretta, Paolo Heritier, Lello Voce
Project manager: Adriana Bruno
Ideato e prodotto creativamente da: Antonello Faretta e Adriana Bruno
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www.materre.retecinemabasilicata.it
Il libro bilingue
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