Dan Richter. Conversazione con l'uomo scimmia di "2001: Odissea nello spazio"
«The most famous unknown actor in the world», ovvero il più famoso attore sconosciuto del mondo: con queste parole Sir Arthur C. Clarke, autore di The Sentinel, da cui Stanley Kubrick trasse il suo 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey,1968), riassumeva la carriera di Daniel “Dan” Richter (Darien, Connecticut 1939), attore, mimo e fotografo statunitense (figlio del noto fumettista per «The New Yorker» Mischa Richter), passato alla storia del cinema con la sua interpretazione dell’uomo-scimmia nel capolavoro di Kubrick, per la sequenza de L’alba dell’uomo dove interpreta Guarda-La-Luna, la scimmia leader (nell’originale: Moonwatcher). Dopo l’esperienza cinematografica Richter diventa uno dei migliori amici di Yoko Ono e John Lennon: per l’esattezza tra il 1969 e il 1973, divenne il loro fotografo ufficiale (sue le foto di varie copertine degli album di quel periodo), comparendo e collaborando tra l’altro anche in Imagine, documentario del 1972, diretto da Lennon e Ono (e Steve Gebhardt).
Per il film-cult 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, lei venne dapprima convocato come consulente e successivamente come coreografo per la sequenza de L’alba dell’uomo (The Dawn of Man), dove finì quindi per interpretare Moonwatcher. È esatto?
Sì, esatto. Tramite un amico comune mi era stato chiesto di avere un incontro con Stanley, che aveva fatto molti tentativi per mettere insieme la sequenza de L’alba dell’uomo e nessuno aveva funzionato. In una conversazione con Arthur Clarke si sono resi conto di non averne mai parlato con un mimo. Quando venne fuori il mio nome Stanley mi chiese di raggiungerlo presso gli studi della MGM per chiedermi un parere. Ci siamo trovati d'accordo e il mio approccio a trattare la scena principalmente come un problema di recitazione, cercando un movimento ben motivato, lo attraeva. Gli feci avere una demo e lui mi assunse praticamente sul posto.
È vero che passò ‒ su preciso volere di Kubrick ‒ intere settimane nello Zoo di Londra a studiare il comportamento dei primati?
Ci è voluto molto più tempo per prepararmi. Più di sei mesi per sviluppare il movimento. Il mio appartamento si affacciava su Regent's Park, dove si trovava lo Zoo, e lì ho trascorso molto tempo. Dopo aver scelto la mia compagnia di scimmie-uomo, ho portato lì anche loro. Durante quelle visite sono diventato amico di Guy il gorilla e alla fine è diventato il riferimento per sviluppare il mio personaggio Moonwatcher.
Progettò e sviluppò il trucco e i costumi degli uomini-scimmia insieme a Stuart Freeborn?
Stuart era il designer del costume, ma lavoravamo insieme quasi ogni giorno. È stato un meraviglioso dare e avere per molti mesi. I primi modelli che aveva progettato erano, dal mio punto di vista, troppo pesanti e goffi. Dato che stavo cercando di usare i valori della recitazione per dare vita agli uomini-scimmia, avevo bisogno di avere più libertà possibile, in modo che i movimenti studiati raggiungessero il pubblico a un livello intuitivo piuttosto che intellettuale. Nessun costume sarà credibile da solo. Se il pubblico segue i valori della recitazione, sospenderà l’incredulità e quindi li avrai.
Cosa ricorda del Front Projection usato da Kubrick per girare le sequenze de L’alba dell’uomo?
È una grande domanda. Abbiamo fatto così tanto tecnicamente per far funzionare il sistema e poi per essere in grado di esibirci di fronte ad esso... C'è così tanto che potrei dire. Il problema più grande per me, sia come coreografo che come interprete principale, era essere in grado di mantenere me stesso e i miei ragazzi operativi al meglio in condizioni proibitive. La proiezione frontale doveva inviare molta luce attraverso i lucidi 8 x 10 per riempire lo schermo di 80 piedi di larghezza, e si generava molto calore. Al calore si aggiungeva anche l'immensa quantità di illuminazione utilizzata sul set perché le temperature colore fossero corrette in modo che lo sfondo e il set sembrassero tutt’uno. Eravamo in maschere e costumi in cui dovevamo muoverci con alti livelli di energia. Il sindacato attori aveva già fortemente limitato la durata delle riprese. Avevamo infermiere e aiutanti in attesa per rinfrescarci con tubi ad alta pressione di aria compressa che venivano inseriti nei nostri costumi alla fine di ogni ripresa. Le temperature sul set erano molto alte. Era anche talmente molto polveroso che la polvere entrava anche nei nostri occhi.
Ricorda i cinematographers Geoffrey Unsworth e John Alcott?
Ho incontrato Geoff un paio di volte, ma se ne andò subito dopo il mio arrivo. Ho passato molto tempo con John e l'ho conosciuto abbastanza bene. L’ho rivisto di tanto in tanto dopo aver finito il film.
Cosa ricordi di Arthur C. Clarke, l'autore di The Sentinel, da cui Kubrick trasse il film?
Ho conosciuto Arthur per la prima volta il giorno in cui ho iniziato a lavorare in 2001. Mi ero appena trasferito nel mio nuovo ufficio che non aveva altro che alcune scrivanie e un telefono. Qualcuno bussò alla porta ed era Arthur, che era passato ad accogliermi nel film. «Scommetto che Stanley non ti ha nemmeno dato un copione», disse mentre me ne passava uno. Abbiamo parlato a lungo quel primo giorno e siamo diventati amici. È stato nei paraggi solo poche volte nei quattordici o quindici mesi in cui ho lavorato con Stanley, ma siamo rimasti in contatto e l'ho visto a New York e nello Sri Lanka. Siamo rimasti amici fino alla sua morte.
Il suo rapporto con Stanley Kubrick al di fuori del set?
Beh, ricordo di aver riso molto. Conversazioni infinite sul film e su ogni genere di argomento, dalla poesia Beat a Napoleone. Aveva un vorace interesse per tutto. Christiane non gli permetteva di fumare, così andavamo a fare una passeggiata per lo studio e lui di nascosto mi chiedeva una sigaretta mentre parlavamo.
La sequenza in cui Moonwatcher scaglia a terra l’osso, imparando a usarlo come un’arma, è tra le più celebri della storia del cinema. Una geniale intuizione di Kubrick, poi, trasformerà l’osso in un’astronave, con l’utilizzo più celebre di ellissi temporale della storia del cinema (un salto di milioni di anni). Cosa ricorda di quel momento epico?
Stanley era sempre alla ricerca di quei momenti speciali. Una volta disse qualcosa sul fatto che se riesci a trovarne cinque o sei e metterli insieme hai un film. Quando lavoravamo, cercava sempre di trovare qualcosa di nuovo da usare. Non riesco a pensare a un regista che abbia fatto una preparazione più dettagliata di lui, ma una volta che ha iniziato a girare, era sempre alla ricerca di qualcosa in più, che potesse sviluppare quanto già avevamo e portarlo a un nuovo livello. La sequenza dell’osso ne è un esempio perfetto. C’era l’idea che fossero degli alieni ad ispirarmi a prendere quell’osso e iniziare a usarlo come arma. Sapevo che, poiché era la prima volta che Moonwatcher usava uno strumento, avrebbe dovuto sperimentare come sentiva tutta quell’esperienza. All'inizio ho deciso di giocarci prima di colpire il cranio e mentre lo facevo una costola che ho colpito è saltata in aria. «Scusa Stanley» gli dissi, e lui rispose: «No, mi piace, fallo di nuovo». Abbiamo lavorato su quel momento per oltre un mese. Quando abbiamo finito con gli altri artisti, ha fatto più riprese di me con l'osso. Poi fece costruire una sorta di piattaforma all'esterno in modo da potermi riprendere dal basso con le nuvole dietro di me. Continuò a lavorare su quell'unico momento e poi un giorno, tornando con Arthur dalla piattaforma allestita al suo ufficio, prese un manico di scopa e lo lanciò in aria: l’impresa era completata, aveva il lancio e quel fantastico taglio di montaggio in avanti di tre milioni di anni.
Dopo 2001, vi siete più rivisti con Stanley Kubrick?
Ho rivisto Stanley durante la realizzazione di Arancia meccanica. Avevo progettato un tavolo di montaggio a tre piatti per John Lennon e Yoko Ono che avevamo costruito a Milano. Stanley stava passando dalle Moviole ai piatti in quel momento, ha sentito che avevamo questo nuovo tavolo e ha chiesto se poteva prenderlo in prestito. John e Yoko stavano andando a Los Angeles per un soggiorno prolungato, quindi decisero di lasciarlo usare a Stanley. Andai a trovarlo mentre stavano sistemando il tavolo nel suo garage e abbiamo passato la giornata insieme. Quella è stata l'ultima volta che l'ho visto. Ci siamo scambiati lettere ma non ci siamo mai più visti.
Per la casa editrice Carroll & Graf Publishers (New York, 2002), pubblica nel 2002 Moonwatcher’s Memoir. A Diary of 2001: A Space Odyssey, un diario che racconta giorno per giorno la lavorazione delle riprese che la videro protagonista. La prefazione al volume è curata da Sir Arthur C. Clarke. Cosa può dirci di questa pubblicazione?
Stavo giocando con l’idea di scrivere di come abbiamo realizzato The Dawn of Man e stavo aspettando che Stanley completasse Eyes Wide Shut in modo da poter andare in Inghilterra e parlarne con lui. Quando è morto, Arthur Clarke mi ha incoraggiato a scriverlo poiché ero l'ultima persona in vita a conoscere l'intera storia di come l'abbiamo fatto. Ho fatto lunghe interviste a tutti quelli che erano ancora in giro in modo da catturare quanti più dettagli possibili, e il risultato è la storia di come abbiamo realizzato la sequenza.
Prima di partecipare a 2001 lei, come produttore ed editore, aveva realizzato nel 1965 l’International Poetry Incarnation, tenutosi a Londra presso la leggendaria Albert Hall, insieme agli amici Allen Ginsburg e William Burroughs. Di cosa si trattò?
In quel periodo a Londra pubblicavo la rivista di poesie «Residu» con mia moglie Jill. Fu un periodo emozionante a Londra e Allen Ginsburg e Bill Burroughs, tra gli altri poeti e scrittori, erano miei amici. Allen era stato arrestato in Cecoslovacchia quando gli studenti lo avevano nominato “Re di maggio”. Venne espulso e l'incidente stava ottenendo la copertura mediatica della stampa. Ne parlavamo tutti con lui a casa del nostro amico scrittore Alex Trocchi. Il giorno dopo, Allen sarebbe andato al telegiornale nazionale per parlare di quello che gli era successo. Abbiamo deciso tutti che se avesse potuto annunciare e leggere poesie mentre veniva guardato da milioni di persone, avremmo potuto ottenere un grande pubblico. Jill e io andammo alla ricerca di una sede adatta il giorno successivo. Mentre eravamo seduti all'Albert Memorial per una pausa fumando uno spinello, guardammo l'Albert Hall e qualcosa mi scattò in testa. Ci recammo lì e avevano appena avuto una cancellazione, quindi staccammo loro un assegno. Allen annunciò la lettura quella sera in tv. Quando sono tornato all'Albert Hall il giorno dopo, mi hanno detto che stavamo esaurendo i posti a disposizione. Abbiamo finito per dover respingere un paio di migliaia di persone. È stato un evento straordinario con oltre venti poeti. Londra stava esplodendo, con ragazzi che si sballavano con visioni di un nuovo mondo.
Tra il 1969 e il 1973, sei stato il fotografo ufficiale di Yoho Ono e John Lennon (tue le foto di varie copertine degli album di quel periodo), comparendo tra l’altro anche in Imagine, documentario del 1972, diretto da Lennon e Ono (e Steve Gebhardt). Cosa può dirci dell’amicizia con Lennon e Ono? Inoltre è esatta la notizia per la quale viene accreditato, non ufficialmente, in Imagine, anche come DOP?
Stavo facendo ricerche sui teatri Noh e Kabuki a Tokyo nel 1964. Ho incontrato e fatto amicizia con Yoko Ono che ha tradotto alcune delle mie poesie in giapponese. Ci siamo incontrati di nuovo più o meno quando ho iniziato a lavorare a 2001. Alla fine, abbiamo preso due appartamenti uno accanto all'altro e le nostre famiglie sono diventate molto legate. Quando lei e John si sono incontrati e hanno acquistato la loro tenuta ad Ascot, Jill e io ci siamo uniti a loro e abbiamo finito per vivere lì con loro per tre anni. In quel periodo li ho aiutati con molti dei loro progetti. Non ho girato Imagine, ho lavorato più come line producer. Ho fotografato le copertine degli album dei Plastic One Band e anche alcuni singoli. Sono stato molto coinvolto in tutti gli aspetti dell'album Imagine e ho lavorato principalmente come produttore nei loro film sperimentali come Fly. Yoko è ancora un'amica molto speciale.
Cosa può dirci del libro The Dream is over, prefazione della stessa Ono, uscito alle stampe nel 2012, dove ripercorre varie fasi della sua vita sullo sfondo della Londra degli anni ’60?
È la mia storia, ma volevo concentrarmi sul mio tempo con John e Yoko. È stato un periodo estremamente creativo per loro mentre i Beatles si stavano sciogliendo e John stava trovando una nuova voce con Yoko. Sono stato lì per la maggior parte del tempo. Lo racconto dal mio punto di vista di amico del mondo dell'arte di Yoko, non come ragazzo del rock and roll.
Ora vive in California, Sierra Madre, dove è istruttore di arrampicata certificato AMGA. Esatto? Come nasce questa passione?
Ho scalato montagne per tutta la vita, a partire dall’età di circa sette anni. Adesso che sono in pensione e ho ottant'anni è fantastico stare con i giovani alpinisti. Qualunque altra cosa io sia stato, sono sempre stato un insegnante.
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