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Una questione di luce. Ricordando Alfio Contini

Ci ha lasciato Alfio Contini, tra i maggiori autori della cinematografia del nostro cinema: con lui se ne va un altro prezioso tassello della nostra storia culturale. Indiscusso anticipatore dello stile fotografico moderno applicato alla settima arte, Contini ha illuminato pellicole che si sono rivelate grandi successi di critica e di pubblico. Nella storia di quel processo creativo che è la fotografia cinematografica, occupa un posto di rilievo, fin dagli inizi, quando incomincia a muovere i primi passi nell’Italia del Neorealismo, quando a seguire attraversa gli anni della dolce vita e del boom economico, quando illumina dapprima la commedia cosiddetta “all’italiana” e poi un cinema decisamente meno leggero e più impegnato, e quando infine partecipa a una nuova stagione della commedia. Fedele collaboratore di Dino Risi, con il quale gira sette pellicole, tra le quali Il sorpasso, uno dei capolavori indiscussi del cinema italiano, Contini sembra a proprio agio nel cinema brillante, ma non tralascia incursioni nel cinema più esplicitamente d’autore. Collabora per esempio con Liliana Cavani, in film come Galileo e Il portiere di notte, Vittorio De Sica ne I girasoli, Michelangelo Antonioni, per Zabriskie Point e Al di là delle nuvole, fino a cimentarsi con il teatro classico con la trasposizione cinematografica di The Trojan Women del greco Michael Cacoyannis. Da ricordare il sodalizio con Adriano Celentano, con il quale gira, tra i tanti, il musical Yuppi du, film di grande successo.

Per comprendere pienamente l’importanza che questo artista riveste nella cinematografia italiana e non solo, basta prendere in esame la leggendaria sequenza finale di un film-culto come Zabriskie Point (1970). Realizzata con 17 diverse macchine da presa in un clima di assoluta rarefazione visiva e in una ipnotica sospensione spazio-temporale, questa sequenza rappresenta senza dubbio una delle icone cinematografiche dell’intero Novecento. Sebbene sia impensabile confinare il talento di Contini all’interno di una singola seppur straordinaria sequenza, nel finale di Zabriskie Point si riesce certamente a identificarne la tecnica e l’intuizione, lo studio e la ricerca. Contini fa parte di quella schiera di professionisti che hanno reso grande il nostro cinema, una di quelle personalità che si sono rese testimoni, con il loro lavoro e la loro passione, di un periodo storico e sociale, culturale e intellettuale, per molti versi inarrivabile.

Considerato dagli addetti ai lavori abile ritrattista femminile, ha legato il suo cinema ai volti delle grandi dive italiane del tempo, che riesce a fotografare e valorizzare come pochi, tanto da diventarne in alcuni casi operatore di riferimento (si pensi ad esempio alla collaborazione con Sophia Loren). Professionista esemplare, in più di mezzo secolo ha definito l’estetica di ogni singola immagine, assicurando le condizioni di luce più adatte e sottolineando la funzione della luce all’interno del racconto cinematografico, sempre con lo stesso impegno e la stessa passione.

Ma seguiamone il percorso più in dettaglio. Contini muove i primi passi nell’industria cinematografica, grazie alla famiglia di cinematographers Montuori, dapprima con Carlo, con il quale inizia ad assaporare i set cinematografici, e successivamente con il figlio di questo, Mario, prima in qualità di assistente operatore e poi come operatore. L’esordio ufficiale (come assistente operatore) è datato 1952 in occasione del film Il cappotto di Alberto Lattuada, con Renato Rascel protagonista. Da questo momento Contini lavorerà soprattutto al fianco di Mario Montuori realizzando numerosi titoli, tra i quali Olympia (A Breath of Scandal), diretto dal premio Oscar (per Casablanca) Michael Curtiz, fino a quando nel 1960 decide di passare alla direzione della fotografia. Il film, diretto da Sergio Grieco, è La regina dei Tartari, pellicola a colori di genere avventuroso. Appena due anni dopo Contini può annoverare nella sua filmografia produzioni importanti come Sodoma e Gomorra (di Aldrich e Leone) e successi come La marcia su Roma (film che segna l’inizio dell’amicizia con il grande Dino Risi) e Il sorpasso, girato tra l’altro anche nei luoghi della sua infanzia (a Castiglioncello infatti, dove il film termina la “sua corsa”, Contini nacque il 19 settembre del 1927).

I mostri, Dino Risi

Siamo nel 1962 e con Il sorpasso per la prima volta il cinema italiano riesce nell’impresa di rendere co-protagoniste la strada (la via Aurelia) e un’auto (la mitica Lancia Aurelia B24). Per la prima volta una semplice successione di suoni, il clacson dell’auto guidata dal protagonista Bruno Cortona (interpretato da un superlativo Vittorio Gassman), è il vero leit-motiv, la vera colonna sonora dell’opera cinematografica, diventando allo stesso tempo significante e significato di un intero decennio. Manifesto indiscusso dell’Italia degli anni Sessanta, Il sorpasso rappresenta per Contini, senza ombra di dubbio, il punto più alto in termini di successo. Soltanto un anno dopo, ancora al fianco di Risi, è la volta del film a episodi I mostri (interpretato dalla coppia Gassman-Tognazzi), ironico e amaro affresco della società italiana in tutte le sue contraddizioni e i suoi vizi. Tra le altre pellicole fotografate per l’amico Dino Il Gaucho (girato in Argentina), Il giovedì, La moglie del prete e Sessomatto. Gli anni Sessanta sono indubbiamente votati a un cinema di commedia (oltre ai film con Risi, ricordiamo quelli con Salce, Fulci, Puccini e le commedie girate con Maselli), ma non mancano incursioni in altri generi, come in quello western, con lo sperimentale Yankee di Tinto Brass. Sul finire del decennio, nel 1968, esce nelle sale Galileo, per la regia di Liliana Cavani, film che segna il primo incontro con il cinema d’autore. Ma è nella prima metà degli anni Settanta che Contini raggiunge l’apice della sua carriera: accanto a film più leggeri (sulla tradizione della commedia all’italiana) come La mortadella di Monicelli, Bianco rosso e... di Lattuada, La moglie del prete e Sessomatto di Risi, spiccano pellicole di spessore internazionale. Gli anni Settanta infatti si aprono con il già ricordato Zabriskie Point, trasferta americana di Antonioni all’epoca della contestazione giovanile, film dal finale apocalittico e profetico, sul quale la fotografia di Contini, lascia un segno indelebile.

Dal cuore della Death Valley, il punto di massima depressione geologica degli Stati Uniti, Contini vola poi nelle gelide campagne russe dove per Vittorio De Sica fotografa le sequenze di battaglia de I girasoli. È quindi in Spagna, chiamato da Michael Cacoyannis per il già ricordato The Trojan women (basato sull’omonima tragedia di Euripide), una co-produzione greco-americana dove riesce nell’impresa di valorizzare al meglio un cast quasi tutto femminile, composto da star come Katharine Hepburn, Geneviève Bujold, Vanessa Redgrave ed Irene Papas.

Alfio Contini alla macchina da presa con Liliana Cavani, sul set di Galileo

Nel 1974 il secondo film di Liliana Cavani, Il portiere di notte, con Dirk Bogarde e Charlotte Rampling, regala alla regista la meritata notorietà internazionale anche grazie alle magnifiche atmosfere d’epoca ricreate alla perfezione da Contini (unitamente ai magnifici costumi di Piero Tosi). L’anno dopo il ricordato Yuppi du, il miglior film di Adriano Celentano in veste di regista, attore e produttore. Con Celentano regista Contini collaborerà altre due volte in Geppo il folle e Joan Lui. Nel 1976, Contini è fortemente richiesto da Ugo Tognazzi per Cattivi pensieri, nel quale il grande attore di Cremona è regista oltre che interprete, mentre nel 1977 l’amico e collega Carlo Di Palma lo chiama a illuminare Mimì Bluette... fiore del mio giardino, con Monica Vitti e Shelley Winters. Gli anni Ottanta vedono per Alfio un ritorno alla commedia brillante, anche se la grande stagione della commedia all’italiana è ormai quasi del tutto tramontata: è un tipo di cinema d’evasione, che ottiene soprattutto un vasto consenso di pubblico e un grande riscontro ai botteghini. Contini collabora con i maggiori artefici di questo nuovo filone: con Castellano e Pipolo, in pellicole come Il bisbetico domato, Mani di velluto e Il burbero, titoli che consacrano definitivamente il personaggio Celentano, e con Pasquale Festa Campanile. In particolare con Festa Campanile Contini realizzerà otto pellicole (tra cui ricordiamo La matriarca, Nessuno è perfetto, Più bello di così si muore, La ragazza di Trieste, Uno scandalo perbene), stabilendo così il sodalizio più importante in termini numerici.

Nel 1990 è chiamato da Luca Verdone, per il quale illumina La bocca, che vede la presenza di Alida Valli. Sul finire della carriera, torna a collaborare con alcuni dei grandi nomi del cinema italiano: nel 1995 ritrova Michelangelo Antonioni (colpito dalla grave malattia) per Al di là delle nuvole (co-diretto con Wim Wenders), film che gli varrà un David di Donatello. Attivo anche per la televisione, nel 2001 collabora con Lina Wertmüller per Francesca e Nunziata, e l’anno successivo firma la fotografia de Il gioco di Ripley, terzo e ultimo film con Liliana Cavani. Nel 2005, dopo più di mezzo secolo di carriera, Keller - Teenage Wasteland, opera prima della regista austriaca Eva Urthaler, è ufficialmente l’ultimo lavoro di Alfio Contini. Nel 2009 la Giuria della 14° edizione del Premio Internazionale per la fotografia cinematografica Gianni Di Venanzo, gli assegna l’Esposimetro d’oro alla Carriera, riconoscendo l’alta professionalità espressa nel corso degli anni.

Alfio Contini

Dopo aver lasciato il cinema, Contini trascorre il suo tempo, tra l’affetto dei suoi cari, la moglie Irma e l’amato figlio Carlo, dedicandosi prevalentemente alla pittura, passione coltivata nella splendida dimora di Talamone, in una cornice mozzafiato di fronte alle isole dell’arcipelago toscano, set ideale per chi ha amato il mare più di ogni altra cosa. L’eredità artistica che ci lascia Alfio Contini è pari a quella umana, perché prima di ogni cosa, Contini è stato un uomo perbene, amato e stimato da tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo: ci mancherai caro Alfio, ma sono certo che continuerai ad “illuminarci”, come solo tu sai fare.