Viaggio in pellicola nei territori dell'arte. Conversazione con Lucille Carra
Lucille Carra è nata a Manhattan, New York City. È regista, produttrice e scrittrice. Ha conseguito un BFA in produzione cinematografica e un master in cinema presso la Tisch School of the Arts della New York University. Carra ha lavorato nella distribuzione e nell'archiviazione di film internazionali, comprese le collezioni di diversi cineasti giapponesi. Attraverso la sua compagnia, Travelfilm, ha prodotto, diretto e scritto documentari culturali acclamati dalla critica su scala internazionale come The Inland Sea, Dvorak and America, The Last Wright.
Cosa puoi dirci delle tue origini italiane?
Mio padre è arrivato a New York da Reggio Calabria quando aveva cinque anni; mia madre era un'americana di prima generazione, i cui genitori provenivano da Catania, in Sicilia. La madre di mia madre è venuta per raggiungere mio nonno. Sono cresciuta affascinata dall'idea che mia nonna fosse venuta a New York su una nave all'età di diciannove anni con un bambino, da sola.
Quali registi e film italiani hai amato di più?
Sono stata molto avvantaggiata da questo punto di vista, perché fortunatamente ho avuto accesso a tutti i film classici del neorealismo. Mi spiego: all'inizio degli anni ’60, con lo sviluppo della televisione, e con tanti italiani a New York, un'emittente televisiva locale ebbe l'idea di trasmettere i film italiani il sabato sera, per una serie sponsorizzata da Medaglia d'Oro Espresso. Un tecnico intraprendente ha escogitato un modo per sottotitolare le copie per la trasmissione, così abbiamo potuto vedere i film in italiano, cosa che ci ha aperto un mondo diverso dalla nostra amata Hollywood. Ladri di biciclette, La strada, Roma, città aperta e La dolce vita erano racconti italiani che abbiamo visto innumerevoli volte da bambini, diversi dai nostri. Oltre ai fondamentali Fellini, Rossellini e De Sica, in casa nostra Pietro Germi, con Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, ricopriva un posto parte. La lingua siciliana suonava molto familiare e la satira era sublime. In una vita di visioni, quelli sono stati gli unici due film direttamente collegati alle mie origini. Sono fermamente convinta che tutti i gruppi etnici negli Stati Uniti abbiano bisogno di essere rappresentati sullo schermo. Ricordo anche, più tardi, l'impatto di Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller, in cui c’è, allo stesso tempo, commedia e critica sociale. Certo, ho amato tutto il cinema italiano e l'ho studiato il più possibile. Gli ultimi Fellini, Pasolini, De Sica e Rosi sono stati veri e propri eventi e visioni essenziali. La grande fotografia è qualcosa che associo sempre ai film italiani. L’ultima spiaggia mi ha fatto una grande impressione perché le riprese di Ava Gardner furono girate all’aria aperta e avevano un aspetto diverso dagli altri suoi film. I miei genitori hanno notato che il direttore della fotografia era italiano! [Giuseppe Rotunno] Così, in tenera età, ho concepito questo collegamento tra la bella fotografia e il cinema italiano. Giuseppe Rotunno rappresentava il ponte tra tanti grandi film italiani e americani. Al cinema italiano associo immagini che hanno un significato maggiore della semplice narrazione. Dico che le immagini sono "più grandi della somma delle loro parti".
Locandine dei documentari di Lucille Carra
Hai frequentato la scuola di cinema alla New York University, dove hai studiato con Martin Scorsese e Len Lye, e, grazie al professor William K. Everson, sei rimasta affascinata dall'uso poetico del suono non sincronizzato nel film del 1942 di Humphrey Jennings e Stewart McAllister Listen to Britain. Puoi dirci di più al riguardo?
Ho sempre voluto seguire un corso di Everson, perché mostrava i film piratati che aveva collezionato e che non potevano essere proiettati (a un certo punto fu ricercato dall'FBI), seguiti poi dal film "legale" che avremmo studiato per la lezione. Alla scuola di specializzazione ho seguito il suo corso di "Storia del cinema britannico", pensavo fosse Hitchcock... Quando ho visto i documentari di propaganda della Seconda Guerra Mondiale sono rimasta molto colpita da come si possa usare il suono e l'immagine in modo poetico. All'epoca il cinema-verità era indubbiamente molto importante e vedevo film innovativi come Salesman o Gray Gardens. Sapevo che non era nelle mie corde seguire un venditore di Bibbia e cercare di creare una storia. Quando ho deciso di realizzare The Inland Sea, sono stata ispirata dall'idea che si potesse modellare il film in anticipo basandosi sulla narrazione orale di Donald Richie. Questo ha liberato me e Hiro, Narita, il mio cinematographer, dal fare affidamento sulla rappresentazione letterale. Per The Inland Sea, ovviamente abbiamo girato anche un suono sincrono dal vivo, ma Donald Richie e gli altri soggetti delle interviste sono stati filmati con la voce fuori campo, per creare una sovrapposizione poetica.
Hai poi lavorato per la Toho International a New York, dove ti sei immersa nella cultura e nel cinema giapponese, è corretto?
Non era nelle mie intenzioni lavorare per una compagnia cinematografica giapponese; il mio obiettivo era lavorare negli archivi o in un ufficio cinematografico europeo a New York. Ma mi è piaciuto lavorare con la Toho perché sono stata a contatto con tutti gli aspetti della distribuzione di film stranieri, così come con il teatro di Broadway, poiché avevamo acquisito anche i diritti per il Giappone dei musical del tempo. Ho incontrato molti produttori teatrali, registi, scenografi e compositori. Cercavano sempre di raccogliere fondi. Il distretto di Broadway era molto fatiscente e pericoloso a quei tempi, il quartiere a luci rosse era lì. Ero diventata responsabile di una collezione di oltre 200 film, inclusi Godzilla e i film di Kurosawa, e prenotavo le copie per le sale di repertorio e le università. Ho incontrato tutti i grandi registi giapponesi e ho visto come si sono comportati alle proiezioni e come hanno accompagnato e protetto il loro lavoro. Kurosawa sapeva tutto su dove venivano proiettati i suoi film negli Stati Uniti, le condizioni di stampa, i formati, la conservazione. Ci ha mostrato come si deve lottare per il proprio lavoro e che nessun dettaglio è insignificante.
Quindi hai fondato la Travelfilm Company per la produzione e distribuzione di film documentari dopo aver lavorato nella distribuzione cinematografica internazionale?
Ho lavorato nel settore della distribuzione all'estero sin dal college, quindi quando ho iniziato a fare i miei film, avevo i contatti per vendere i documentari. L'ho trovato molto divertente e i miei contatti sono stati cordiali e affabili. Potevo andare a un festival cinematografico, per dire, in Australia, e incontrare distributori e reti televisive. Ad esempio, ho avuto un rapporto molto piacevole con Ronin Films.
Il tuo primo lavoro come regista è il film-documentario The Inland Sea (1991) basato sulle memorie di viaggio di Donald Richie. Vent'anni prima, nel 1971, Richie aveva pubblicato il suo libro omonimo ‒ un classico dei viaggi. Richie ha scritto del popolo giapponese, della cultura del Giappone e in particolare del cinema giapponese, incluso un volume su Akira Kurosawa. Ha anche curato i sottotitoli in inglese per i film di Akira Kurosawa Il trono di sangue (1957), Barbarossa (1965), Kagemusha (1980) e Sogni (1990). Il tuo film, narrato dallo stesso Richie, ha vinto il Best Documentary Award all'Hawaii International Film Festival e l'Earthwatch Film Award. È stato proiettato in oltre quaranta festival cinematografici, incluso il Sundance Film Festival. Cosa puoi dirci di questa scelta? Eri interessata alla cultura giapponese?
Stavo cercando un progetto e alcuni colleghi mi hanno suggerito il libro, The Inland Sea. Ho adorato il libro perché ero molto attratta dal Giappone rurale e ammiravo lo stile di scrittura di Donald. All'epoca in cui abbiamo realizzato il film, il Giappone era la potenza economica numero uno al mondo e prevaleva l'immagine della "Tokyo high-tech". Personalmente conoscevo un lato più caldo del Giappone, e volevo mostrarlo. Avevo anche sperimentato direttamente come fosse essere uno straniero in Giappone e relazionarsi con il paese e le persone come straniera. Un aspetto attraente e interessante era che Donald mi ha detto di essersi ispirato a un libro di viaggio colloquiale, Old Calabria, di Norman Douglas, scritto nel 1915. The Inland Sea e il libro di Douglas mi hanno ricordato i lontani ricordi della Calabria che mio padre ci aveva trasmesso. Ho inserito una citazione da Old Calabria e ho costruito una piccola scena come cenno a mio padre. Donald parla dei giapponesi come persone di mare e dice che il loro antico calore era «una caratteristica più mediterranea che asiatica».
Conoscevi già Richie o lo hai incontrato in occasione del tuo film?
Questa è una domanda interessante, perché conoscevo ogni persona di cinema e teatro giapponese che veniva a New York nel nostro ufficio, ma non avevo mai veramente incrociato la strada di Donald Richie. Ero coinvolta direttamente con il Giappone, quindi non avevo bisogno di un intermediario, e immagino che nemmeno Donald vedesse la necessità di passare attraverso il nostro ufficio, perché aveva i suoi contatti diretti. Certo, avevo letto e riletto tutti i suoi libri sul cinema giapponese ed erano strumenti necessari per distribuire i classici della nostra collezione.
Così come il libro, il tuo documentario contiene a volte la nostalgia per uno stile di vita perduto?
Sì, volevo fare un saggio poetico che combinasse le riprese del presente, con un senso del passato (Donald aveva scritto il libro trent'anni prima), ma anche con un senso di atemporalità. La fotografia e la musica raffinate lo rendono un evergreen.
Per la fotografia hai scelto il noto cinematographer Hiro Narita. Cosa puoi dirci della vostra collaborazione?
Proprio in quel periodo avevo visto un film di Hiro, Never Cry Wolf, un film narrativo Disney con magnifici filmati di animali, girato in Alaska e Canada. Ero molto felice che Hiro fosse entusiasta di The Inland Sea, che fosse un lavoro stimolante per la sua macchina da presa e i suoi obiettivi. E volevo il suo contributo, dato che era di origine giapponese. Avevamo una scaletta per le riprese, molto ben pianificata, fino ai dettagli della logistica per mandare il negativo a Tokyo presso Imagica Labs ogni due-tre giorni. Penso che la chiave del lavoro con i cinematographers sia lasciargli fare le loro cose, e, una volta stabilite le tue idee di base, fidarsi di loro. Ero molto interessata alla luce naturale durante le riprese.
La colonna sonora originale è stata composta da Toru Takemitsu, un noto compositore giapponese che ha scritto le musiche per Empire of Passion (1978) diretto da Nagisa Ōshima, Ran (1985) diretto da Akira Kurosawa, Rising Sun (1993) diretto da Philip Kaufman. Cosa puoi dirci di lui?
Takemitsu era un amico di Donald ed è stato molto gentile con noi nel creare una partitura con una combinazione di strumenti orientali e occidentali. Avevamo una sceneggiatura e una copia del film pronte per lui, e volevamo la musica nei punti chiave. È stata una bella collaborazione.
Una splendida edizione (Blu-ray / Dvd) è stata pubblicata dalla Criterion Collection. Realizzata in 4K e supervisionata da Hiro Narita con la tua approvazione. Nell'edizione sono presenti una nuova intervista che ti vede protagonista, una nuova conversazione tra il regista Paul Schrader e il critico Ian Buruma sull'autore Donald Richie, e l'intervista allo stesso Richie del 1991. Cosa puoi raccontarci al riguardo?
Sono molto felice di poter dire che tutti i miei film sono stati continuamente distribuiti da quando sono usciti. Ho avuto un ottimo rapporto con Criterion/Janus sin dai tempi di Toho. The Inland Sea inizialmente era stato distribuito da Voyager (Criterion) Laserdisc e Janus Films, quindi abbiamo avuto varie rimasterizzazioni. Il film è stato girato in 16mm con Eastman Color Print 7384 e un po' di TRI-X per il bianco e nero; è stato poi gonfiato fino a 35mm presso i DuArt Labs di New York. Hiro lo ha reso adatto per i formati 1:33 e 1:66. Per tutto il nostro lavoro per Criterion siamo passati alle tracce inter-positive e ottiche da 35mm. Criterion fa davvero un lavoro completo. Quando stavamo girando, ho deciso di produrre un addendum sotto forma di un'intervista con Donald, girato da Hiro. Questo piccolo film è incluso nel pacchetto Criterion.
Dvořák and America (2000) è stata la prima coproduzione di documentari tra Stati Uniti e televisione ceca. È il primo film sugli anni che il compositore Antonín Dvořák ha trascorso negli Stati Uniti come insegnante al Conservatorio Nazionale di Musica di New York. Qual è il motivo del tuo interesse per questo grande musicista?
Dvořák and America è un esempio di pura ispirazione. Vivo vicino all'arenaria dove Dvořák scrisse Symphony from The New World (Sinfonia n. 9 in mi minore). Un giorno, durante le riprese di The Inland Sea, il nostro furgone era bloccato nel fango su una collina, e improvvisamente abbiamo sentito dei rintocchi suonare il "Going Home" (in Giappone si usano spesso rintocchi presso stazioni ferroviarie, strisce pedonali, ecc.). Ho pensato all'universalità della musica e ho iniziato a fare ricerche: mi piaceva l’idea che Dvořák fosse vissuto nel mio quartiere e facesse passeggiate quotidiane lungo Broadway fino alla mia strada, per bere una birra al bar. C’è voluto molto lavoro per portare avanti delle ricerche adeguate, perché, quando abbiamo iniziato, la cortina di ferro era appena caduta. Gli archivi si aprivano un poco alla volta, ogni anno un po’ di più. Siamo stati appunto la prima coproduzione di documentari tra Stati Uniti e televisione ceca. Ho potuto anche entrare in contatto con il "Czech Film Office", che era un residuo dell'era comunista. È stato affascinante incontrare dei registi in un paese che era stato proibito visitare negli ultimi quaranta anni circa. Abbiamo fatto alcune lavorazioni lì e anche presso l'Ungherese FilmLab di Budapest!
In questo lavoro esplori anche il rapporto di Antonin Dvořák con i suoi studenti afroamericani a New York.
La relazione di Dvořák con i suoi studenti afroamericani non era mai stata raccontata sullo schermo prima, ed è ancora poco conosciuta. Harry T. Burleigh, il più grande compositore di canzoni d'arte d'America, e Will Marion Cook, che ha composto il primo musical di Broadway, erano tra i suoi studenti di musica classica (sebbene Burleigh fosse suo copista e presente alle lezioni come uditore). C'era così tanto fermento musicale nella città di New York alla fine del 1800 e non ne sappiamo molto. Le emittenti televisive educative negli Stati Uniti non vogliono finanziare film sui periodi precedenti all'avvento del cinema. Spero che si possa rimediare a questo e fare più film su questi periodi, anche se non esistono filmati.
I cinematographers sono Antonín Chundela, Allen Moore e ancora Narita (per le parti a New York e nel Midwest). Puoi spiegare la scelta di tre diversi direttori della fotografia?
Ero molto desiderosa di lavorare di nuovo con Hiro e lui ha aggiunto così tanto alle nostre riprese di Manhattan e Iowa. Abbiamo girato anche in Minnesota. Il suo lavoro è davvero bello, senza essere sentimentale. Dvořák era un profondo amante della natura e faceva lunghe passeggiate alle 5 del mattino. Volevo ottenere quella qualità attraverso la fotografia. Volevo lavorare con Allen Moore per le interviste perché aveva firmato un lavoro simile con il documentarista americano Ken Burns. Dal momento che le nostre interviste si sono svolte in tempi e luoghi diversi, ho dovuto lavorare molto alla programmazione. Hiro non era disponibile per le riprese in Repubblica Ceca, quindi mi hanno consigliato Antonin Chundela, che si stava diplomando alla FAMU, la famosa scuola di cinema ceca. È un esempio del talento e della maestria della FAMU e ha studiato il lavoro di Hiro e Allen per dare al film il suo aspetto uniforme. Ho imparato molto sulla FAMU e sulla cinematografia dell'Europa orientale mentre ero a Praga. Negli anni '90 si potevano ancora giustificare le riprese di un documentario in pellicola, quindi abbiamo girato anche le foto d'archivio su pellicola invece di scansionarle. C’è davvero bisogno di preservare i documentari indipendenti più vecchi che sono stati girati in pellicola e racchiudono immagini e audio molto interessanti.
The Last Wright: Frank Lloyd Wright and the Park Inn Hotel (2008), prodotto e scritto con Garry McGee, è l'unico progetto sull'ultimo hotel esistente progettato da Frank Lloyd Wright, The Park Inn, situato in Iowa. Il film ha vinto il Gran Premio come miglior documentario presso la Iowa Motion Picture Association ed è stato nominato per un EMMY Award per la migliore sceneggiatura per documentario. Le opere di Wright hanno fatto parte o hanno ispirato gli ambienti di film come Female (1933) di Michael Curtiz, The Black Cat (1934) di Edgar G. Ulmer, North by Northwest (1959) di Alfred Hitchcock, THX-1138 (1971) di George Lucas, Blade Runner di Ridley Scott (1982). Il regista Nicholas Ray (Rebel Without a Cause) ha studiato con lui e anche la musica lo ha celebrato quando, nel 1970, Simon & Garfunkel gli hanno dedicato So Long, Frank Lloyd Wright. Immagino che anche tu sia un’ammiratrice del lavoro di Wright.
Questa è un'ottima lista dei film che riguardano Wright. Mi è sempre piaciuta l’idea che Nicholas Ray avesse studiato con lui. Amo il lavoro di Wright e inizialmente ne sono rimasto affascinata a causa di North By Northwest, in cui, come sappiamo, non è presente tecnicamente un edificio di Wright, ma è lui la fonte d’ispirazione.
Hai costruito il tuo lavoro attraverso rari filmati d'archivio, musica d'epoca e uno sguardo comparativo alle famose strutture di Wright?
Sì, invece di fare un film “biografico” su questo hotel remoto, ho deciso di fare uno studio comparativo per mostrare la sua relazione con altre strutture di Wright. All'inizio della mia ricerca ho esplorato la relazione tra questo piccolo hotel e l'iconico Imperial Hotel di Wright a Tokyo. I legami con il Giappone erano molto forti e Wright fu profondamente influenzato dall'estetica e dall'architettura giapponesi. Abbiamo girato in pellicola 16mm e credo che sia stata l'ultima volta che la casa di Wright nel Wisconsin, Taliesin, è stata girata in pellicola. Abbiamo girato le interviste su DVCam e Antonin Chundela ha dato alle interviste una bellissima resa fotografica. In realtà ha funzionato meglio di quanto avrebbe funzionato il 4K.
Qual è l’opera di Wright che preferisci?
La mia opera preferita è Unity Temple a Oak Park, Illinois. La madre di Wright era di fede Unitaria e si sente davvero un'attrazione spirituale in questo spazio. Adoro anche la Robie House restaurata di Chicago, che ha una miscela perfetta di interni, esterni, ornamenti, spazio e luce. Visitando questa casa si sente un'esperienza "fuori dal corpo" ‒ allucinogena, davvero, soprattutto per le posizioni delle vetrate colorate contro la luce esterna. Un aspetto molto interessante del lavoro di Wright è l'acustica. Uno qualsiasi dei suoi edifici potrebbe ospitare un ottimo concerto di pianoforte.
Lo storico Park Inn Hotel di Frank Lloyd Wright è stato restaurato oggi?
E’ stato restaurato, ma si tratta di una proprietà commerciale, che può essere autentica per quello che possono consentire i proprietari. Ho sentito che non è male.
Nel 2007, nella ricerca di materiale per un film sul pianista Glenn Gould, hai ritrovato il programma televisivo americano, perduto a lungo, pensato, scritto e interpretato dall'artista, The Return of the Wizard (1968). Glenn Gould, Recording Artist è il primo film a esplorare l'intersezione tra le registrazioni musicali classiche di Gould per la Columbia Records e la sua arte radiofonica sperimentale in Canada, esatto?
Crescendo, come molti giovani, sono rimasta affascinata dalla Columbia Records e dalla Columbia Masterworks, la loro etichetta classica. Andando alla New York University nel Greenwich Village, ci chiedevamo chi stesse registrando ai Columbia Studio a East 20th Street quel giorno. Lo studio si trovava a tre isolati da dove Dvořák scrisse The New World Symphony, quindi ancora una volta fui incuriosita dal fatto che una fonte di grande musica si trovasse nel mio quartiere. Ero interessata a Glenn Gould perché ha smesso di esibirsi dal vivo, era ossessionato dal modificare le sue esibizioni e dal rendere la sua acustica in linea con l'estetica della registrazione e non, come era consuetudine, replicando un'esibizione dal vivo, con un microfono sopra la testa. E se ci pensi, ha perfettamente senso. Gould iniziò anche a realizzare documentari radiofonici su argomenti canadesi per la Canadian Broadcasting Corporation, anch'essi montati in modo estremo. Questi lavori sperimentali sono costruiti in modo complesso. Ha anche scritto molto sulle sue teorie di editing. Se Gould avesse realizzato film sperimentali invece che audio, sarebbe molto più conosciuto in questo campo. Abbiamo intervistato i produttori discografici di Gould alla Columbia Masterworks e i suoi editori alla CBC. È un materiale meraviglioso che dà vita a un periodo della registrazione analogica che pochi ricordano. Abbiamo trovato molto materiale dimenticato e parliamo di Gould come un appassionato di montaggio, cosa molto interessante per i registi. Negli annali di Glenn Gould, un programma da lui realizzato per la televisione pubblica di New York, chiamato The Return of the Wizard, era considerato perduto. L'ho trovato e mi sono resa conto che un perfetto master da due pollici si trovava presso la Library of Congress. Sono andata a Washington, DC, l'ho controllato, ho organizzato un duplicato ed è stato molto divertente presentarlo a Montreal, New York e Monaco. C'era sempre il tutto esaurito. È interessante notare che David Oppenheimer, che aveva scoperto Gould e lo aveva messo sotto contratto con la Columbia, abbia prodotto questo programma e, l'anno successivo, sia diventato Preside alla School of the Arts della New York University, dove ho studiato. Kirk Browning, che ha diretto questo programma, è stato un regista televisivo molto innovativo e prolifico; alcune delle più belle trasmissioni dal vivo di Browning sono le prime trasmissioni del Metropolitan Opera, con Luciano Pavarotti, Renata Scotto e altri grandi degli anni ’70. Volevamo pubblicare un DVD di Return of the Wizard, ma ci sono stati molte controversie. Merita di avere una doverosa versione in DVD.
A che punto è la lavorazione?
Avevo sospeso il progetto per una serie di motivi, ma è sostanzialmente finito e dovremmo farlo uscire.
In conclusione. Oltre a essere una scrittrice e regista, sei anche, come abbiamo detto, una produttrice e distributrice. Secondo te, come sarà il futuro dell'industria cinematografica quando questa drammatica pandemia finirà?
Ho iniziato nella distribuzione di film stranieri negli Stati Uniti, per poi passare a un mercato di nicchia per i documentari indipendenti. In quanto amante del cinema e spettatrice, il mio istinto mi dice che quando la pandemia sarà finita recupereremo le nostre vecchie abitudini. Per dirne una, vedo che le persone sono impazienti di uscire di casa. Ho lavorato al teatro di Broadway negli anni '80, quando si diceva che il teatro dal vivo fosse morto, ma l'attività teatrale è tornata enormemente in voga. Penso che soprattutto i giovani vorranno uscire e andare al cinema. Penso anche che non si possa tornare indietro rispetto allo streaming di nuovi film sulla propria tv a schermo piatto e all’on demand. Sarà un'esperienza ibrida. Sceglieremo di vedere un film sul grande schermo o a casa. Penso anche che Netflix e HBO dovrebbero offrire le loro "maratone" sul grande schermo, come eventi speciali per quelli di noi che vogliono quell'esperienza. Ho visto due vecchi episodi di Game of Throne su IMAX e il teatro era pieno. A volte vuoi stare con le persone. IMAX potrebbe essere fantastico per il teatro, l’opera, i concerti e lo sport. Spetta agli allestitori fornire buoni modelli di business in modo da permettere un'esperienza confortevole.
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