Ricordando Giuseppe Rotunno nel centenario della nascita
È molto difficile spiegare il mio lavoro, ma è come essere un pittore. Penso che i pittori sentano qualcosa dentro attraverso i colori
e il pennello mentre mettono le loro idee su una tela.
Questo è quello che faccio anch’io.
Giuseppe Rotunno
Il mio amore per questo lavoro lo ha reso davvero facile. Lavoro molto duramente, ma le giornate sembrano lunghe solo cinque minuti.
Giuseppe Rotunno
Nato a Roma il 19 marzo del 1923 da Silvio Rotunno e Giuseppina Nunzi ˗ quarto di cinque figli ˗, Giuseppe “Peppino” Rotunno (AIC ASC) è considerato tra i più grandi interpreti della fotografia cinematografica mondiale. Originario della città di Fondi, dopo la morte del padre, titolare di una sartoria, si vede costretto, a diciassette anni, ad abbandonare gli studi per contribuire alla sussistenza della famiglia. Riesce a farsi assumere, a Cinecittà, nel rinomato studio fotografico di Arturo Bragaglia ˗ secondogenito di Francesco Bragaglia (direttore generale della casa di produzione Cines) e fratello di Alberto, Anton Giulio e Carlo Ludovico. Bragaglia era specializzato nei procedimenti di sviluppo e stampa e si dedicava ai ritratti delle attrici del cinema muto, collaborando con il fratello Anton Giulio alle cosiddette fotodinamiche; fu anche un valido caratterista in film come Miracolo a Milano di Vittorio De Sica (1951), Bellissima di Luchino Visconti (1952) e Altri tempi di Alessandro Blasetti (1952). “Peppino” lavora nel suo studio in qualità di addetto alla correzione dei negativi e allo sviluppo, stampa e lucidatura delle fotografie; successivamente si cimenterà anche nell’arte della fotografia di scena, con una Leica dello stesso Arturo. Grazie all’intercessione di Bragaglia, Rotunno viene assunto nel reparto operatori in qualità di “consegnatario-macchina”, sotto la guida di Anchise Brizzi, uno dei pionieri della direzione della fotografia italiana, che nel 1946 avrebbe firmato Sciuscià di Vittorio De Sica.
Rotunno inizia la sua straordinaria avventura artistica come assistente operatore per autori come Václav Vích (La corona di ferro, 1941), Rodolfo Lombardi (L’uomo venuto dal mare, 1942), Renato Del Frate (La bisbetica domata, 1942). Nel 1943, grazie a Roberto Rossellini ha la possibilità di “debuttare” come operatore in alcune sequenze in day for night del film L’uomo della croce, in cui era assistente operatore. A causa del secondo conflitto mondiale la sua nascente carriera subisce una pausa: passeranno tre anni prima del ritorno sul set, sempre come assistente operatore, con il film Aquila nera (1946) di Riccardo Freda. Nel frattempo viene arruolato nel reparto cinematografico dello stato maggiore dell'esercito (VIII genio, lo stesso di Gianni Di Venanzo, futuro illustre collega) e inviato in Grecia, dove stringe un’ottima intesa con il regista Michele Gandin, con il quale, dopo la guerra, continuerà a collaborare in diversi documentari, tra i quali Cristo non si è fermato a Eboli (1952). Catturato dai tedeschi, viene deportato in Germania, nei lager di Hattingen e Winten, dove lavorò anche come proiezionista. Dopo la guerra, tornato in patria, riprende la propria attività cinematografica con Aquila nera e collabora, sempre in qualità di assistente, con direttori della fotografia come Rodolfo e Guglielmo Lombardi, Gábor Pogány (Genoveffa di Brabante, 1947), Leon Shamroy, con il quale instaura un ottimo rapporto professionale (Il principe delle volpi, 1949), mentre, con Carlo Carlini, esordisce ufficialmente come operatore alla macchina con il film di Aldo Molinari Sangue di nomadi (1951). L’incontro decisivo per la sua carriera avviene l’anno dopo quando incrocia il proprio destino professionale con Aldo Graziati, noto anche come G.R. Aldò (superbo innovatore della luce neorealista italiana): il film che li unisce è Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica, tributo del regista al padre Umberto.
La collaborazione con Aldò è fondamentale per la carriera di Rotunno. I due lavorano infatti anche a Tre storie proibite (1952) di Augusto Genina, La provinciale (1953) di Mario Soldati, Stazione Termini (1953) di Vittorio De Sica, una parte dell’episodio (con Anna Magnani) diretto da Luchino Visconti del collettivo Siamo donne (1953), diretto inoltre da Gianni Franciolini, Alfredo Guarini, Roberto Rossellini, Luigi Zampa, Othello di Orson Welles (1951) e, soprattutto, Senso (1954) ancora di Visconti. Il film, il primo a colori per Visconti, è segnato dalla tragica fine di Aldò, che muore prematuramente in seguito a un incidente automobilistico. Al momento della scomparsa di Aldò Rotunno si trovava a colloquio con Vittorio De Sica per discutere della possibilità di collaborare a L’oro di Napoli (1954), occasione che non si sarebbe poi concretizzata. Aldò venne sostituito da Robert Krasker (ASC BSC), che a sua volta però abbandonò il set, e fu lo stesso Rotunno a portare a termine le riprese (tra le altre, la mirabile sequenza della fucilazione di Franz). Nella sequenza della fucilazione (girata a Castel Sant’Angelo e non a Verona dove è ambientata), fece un miracolo mostrando sullo schermo come fonti di luce le sole fiaccole dei soldati, riuscendo nell’impresa di eliminare luci di taglio o controluce in modo che non interferissero con la luce della narrazione filmica. L’abilità dimostrata e il risultato ottenuto lasciarono sbalordito un regista esperto come Visconti.
Senso, seppur non ufficialmente, rappresenta l’esordio di Rotunno come direttore della fotografia, esordio che verrà certificato con Pane, amore e… (1955) di Dino Risi – tra i primissimi film italiani girati in CinemaScope –, che faceva seguito ai fortunati Pane, amore e fantasia (1953) e Pane, amore e gelosia (1954) di Luigi Comencini. Sul set di Risi “Peppino” incontra colei che diverrà sua moglie, Graziolina Campori, all’epoca impegnata sui set come segretaria d’edizione e assistente alla regia; figlia di un produttore cinematografico e di una direttrice d'orchestra, la Campori è un’apprezzata pittrice, la cui arte evoca spesso il mondo della sua infanzia vissuta tra i paesaggi della pianura padana. Dal loro matrimonio, celebrato nel 1969, nasceranno le figlie Tiziana, Paola e Carmen. Dopo Pane, amore e… Rotunno è sul set di Montecarlo (1956) –diretto da Samuel A. Taylor con la supervisione di Vittorio De Sica (protagonista della pellicola insieme a Marlene Dietrich) –, dove ha modo di sperimentare il Technirama a 8 perforazioni 35mm. Gli anni ’50 proseguono nel segno della ricerca cromatica in film come La maja desnuda (1958), diretto da Henry Koster, basato sulla vita del pittore spagnolo Francisco Goya, in cui illumina in tutta la sua bellezza la diva Ava Gardner. Visconti quindi lo vuole ancora con sé per Le notti bianche (1957) – girato interamente in teatro di posa – e il successivo Rocco e i suoi fratelli (1960), entrambi in bianco e nero. Con Rocco e i suoi fratelli Rotunno si aggiudica il primo dei suoi sette Nastri d'argento. Gli anni ’50 si chiudono con L’ultima spiaggia (1959) di Stanley Kramer, che lo avvicina alle grandi produzioni hollywoodiane, e La grande guerra (1959) di Mario Monicelli. Gli anni ’60 quindi si segnalano per film come Fantasmi a Roma (1961) di Antonio Pietrangeli – con Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Edoardo De Filippo (dove Rotunno si occupò magistralmente anche degli effetti speciali realizzati in diretta) –, I due nemici (1961) di Guy Hamilton, Cronaca familiare (1962) di Valerio Zurlini, I compagni (1963) di Mario Monicelli, Il Gattopardo (1963) di Visconti. Tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il film si aggiudicò la Palma d'oro come miglior film nella 16º Edizione del Festival di Cannes. Tra i tanti personaggi, il Principe di Salina (Burt Lancaster), l'ambizioso suo nipote Tancredi Falconeri (Alain Delon) e la bellissima Angelica, di cui Tancredi si innamora (Claudia Cardinale). Il Gattopardo è un trionfo della visione, declinato dal cinematographer italiano con l’uso sapiente della luce naturale e di quella artificiale. Girato con tre macchine da presa, impressionato su pellicola 70mm Super-Technirama, è denso di suggestioni pittoriche e riesce a trasporre in maniera potente le pagine del romanzo di Tomasi di Lampedusa. Tra le tante meravigliose sequenze non si può non ricordare quella del ballo con il quale l'aristocrazia e la nuova borghesia festeggiano la scongiurata rivoluzione: accompagnato dalla partitura inedita di un valzer brillante di Verdi orchestrato da Nino Rota e impreziosito dai magnifici costumi di Piero Tosi (che con il film otterrà una nomination ai Premi Oscar). In questa celebre sequenza (girata di notte, anche per ragione climatiche, si era in piena estate) la fotografia di Rotunno “orchestra” le immagini in modo sublime, esaudendo il desiderio di Visconti di ridurre al minimo le luci elettriche. Per rendere più naturale l’illuminazione del ballo si fece ricorso a migliaia di candele che dovevano essere riaccese all'inizio di ogni sessione di riprese e frequentemente sostituite, come si può immaginare. Naturalmente non si girò con la luce prodotta dalle candele: grazie all’altezza dei soffitti, al di sopra dei bellissimi candelabri, fu possibile costruire dei telai (mimetizzati perfettamente) sui quali posizionare il parco lampade, azionati da apposite consolle. La preparazione del set richiese un lavoro estenuante, ma il risultato è tra le pagine più affascinanti della storia del cinema.
Dopo Il Gattopardo fu la volta di Ieri, oggi, domani (1963) di Vittorio De Sica, girato in Techniscope – inventato dagli italiani Giovanni Ventimiglia e Giulio Monteleoni (formato usato per la prima volta in una produzione italiana, che farà la fortuna di tanti western nostrani) – e il kolossal La Bibbia (1966) di John Huston (girato nel formato Dimension 150 65mm, solo film in questo formato insieme a Patton di Franklin J. Schaffner). Nel 1966 Rotunno è il primo cinematographer non statunitense ad essere ammesso (con l’intercessione del collega Leon Shamroy ASC) tra i membri dell'ASC - American Society of Cinematographers, la più antica associazione al mondo di autori della fotografia: la stessa ASC gli conferirà nel 1999 l’International Award alla carriera. Seguirono quindi Lo straniero (1967), di nuovo con Visconti, il film collettivo Le streghe (1967), in cui Rotunno si confronta nella stessa produzione con registi dallo stile e dalla poetica assai diversi come Visconti, De Sica, Pasolini, Mauro Bolognini e Franco Rossi, Lo sbarco di Anzio (1968) diretto da Edward Dmytryk e da Duilio Coletti.
L’inizio del noto sodalizio con Federico Fellini avviene con l’episodio Toby Dammit (con Terence Stamp) nel film collettivo Tre passi nel delirio (1968). Il decennio si chiude con Fellini Satyricon (1969), altra magistrale prova cromatica di Rotunno, e la collaborazione continua negli anni ’70 con I clowns (1970) – solo parzialmente –, Roma (1972), Amarcord (1973), premiato con l’Oscar come miglior film straniero, Il Casanova di Federico Fellini (1976), Prova d'orchestra (1979), per proseguire negli anni ’80 con La città delle donne (1980) ed E la nave va (1983).
Negli anni ’70 Rotunno collabora nuovamente con Vittorio De Sica per I girasoli (1970), con Mike Nichols per Conoscenza carnale (Carnal Knowledge, 1971), con Jack Nicholson e il cantante Art Garfunkel, Lina Wertmüller con Film d'amore e d'anarchia: ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…" (1973), con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, Tutto a posto e niente in ordine (1974) e La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978), Divina creatura (1975) regia di Giuseppe Patroni Griffi, Sturmtruppen (1976) diretto da Salvatore Samperi, tratto dalla serie a fumetti omonima di Bonvi, il western Amore, piombo e furore (1978) di Monte Hellman, per concludere infine il decennio con la trasferta americana di All That Jazz - Lo spettacolo comincia (All that Jazz, 1979) del coreografo e regista statunitense Bob Fosse. Il film, interpretato da Roy Scheider e Jessica Lange, è una sorta di omaggio al felliniano 8½. Il protagonista Joe Gideon è infatti l’alter ego di Fosse, rappresentato mentre cerca di mettere in scena un nuovo spettacolo teatrale, e ottenne ben quattro Premi Oscar (e la Palma d’oro a Cannes). La fotografia di Rotunno – memorabile la sequenza del numero dell’addio alla vita – venne omaggiata con una meritatissima Nomination. Rotunno non vinse l’Oscar ma ottenne l’altrettanto prestigioso BAFTA Award, equivalente inglese della celebre statuetta americana. La sera della cerimonia degli Oscar è a Malta a illuminare Popeye di Robert Altman, impegnato a girare l’incontro di pugilato tra Popeye (Robin Williams) e Bruto (Paul L. Smith). Venne comunque festeggiato da tutta la troupe con una festa a sorpresa. Da ricordare come Rotunno si fosse cimentato anche nel film coreografico dal balletto Cou Cou Bazar di Jean Dubuffet, per la regia di Giorgio Treves (Cou Cou Bazar, 1978).
Dopo l’esperienza con Altman, gli anni ’80 lo vedono collaborare con produzioni internazionali: Il volto dei potenti (1981) di Alan Pakula, Cinque giorni, un'estate (1982) di Fred Zinnemann, Yado (1985) di Richard Fleischer, Poliziotto in affitto (1987) di Jerry London e Le avventure del barone di Munchausen (1988) di Terry Gilliam. Nel 1984 illumina il surreale viaggio nel tempo di Non ci resta che piangere, con Roberto Benigni e Massimo Troisi, attore che ritrova nuovamente in Hotel Colonial (1987) di Cinzia TH Torrini, mentre per Peter Del Monte realizza in elettronica (HDTV) Giulia e Giulia (1987). Ne Il sogno di Leonardo (1989), diretto dal mago degli effetti speciali Douglas Trumbull (2001: Odissea nello spazio, 1968 e Blade Runner, 1982), corto interpretato da Jo Champa e Philippe Leroy, sperimenta lo Showscan, sistema di ripresa ideato dallo stesso Trumbull che prevedeva il ricorso a una pellicola 65mm a 60 fotogrammi al secondo (due volte e mezza la velocità standard di un film). Nello stesso anno si confronta con l’Opera, curando la fotografia filmata (con proiezioni a cura di Mario Bernardo) del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, per la regia di Luca Ronconi (presso la Scala di Milano, con orchestra diretta da Riccardo Muti).
Negli anni ’90, torna a collaborare con Nichols per A proposito di Henry (1991), con Harrison Ford, e Wolf (1994), con Jack Nickolson e Michelle Pfeiffer. Nel 1995 è ancora a Hollywood per il remake di Sabrina, regia di Sidney Pollack; seguiranno quindi La notte e il momento (1995), regia di Anna Maria Tatò, e La sindrome di Stendhal (1996), regia di Dario Argento. Gli anni ’90, che si erano aperti con Mio caro dottor Gräsler di Roberto Faenza, si chiudono con l’omaggio a Mastroianni Mi ricordo, sì, io mi ricordo (1997) di Anna Maria Tatò, girato durante le riprese di Viaggio all'inizio del mondo di Manoel de Oliveira, ultima prova dell’attore. Il film-intervista della Totò è l’ultimo lavoro firmato dal cinematographer italiano.
Dal 1988 fino al 2013 Rotunno è stato docente e responsabile del Corso di Fotografia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, trasmettendo tutta la sua passione e la sua incredibile esperienza a nuove generazioni di autori della fotografia. Tra i suoi allievi da segnalare Francesca Amitrano, Federico Annicchiarico, Alfredo Betrò, Sandro Chessa, Antonio Grambone, Giuseppe Maio, Davide Manca, Maura Morales Bergmann, Ferran Paredes Rubio, Vladan Radovic.
Attento alla memoria storica del cinema e alla sua conservazione, ha supervisionato il restauro di moltissimi capolavori del cinema italiano tra i quali Senso, Il Gattopardo, La terra trema, Rocco e i suoi fratelli, Le notti bianche, Ossessione, Lo straniero, C'eravamo tanto amati, Una giornata particolare (restauro del 2003), L'armata Brancaleone. A partire dal 2009 il Bif&st - Bari International Film Festival – ideato e diretto da Felice Laudadio, assegna un premio intitolato a Giuseppe Rotunno per il miglior cinematographer tra i film del festival. Tra i molti riconoscimenti ricevuti (oltre a quelli già menzionati come la nomination all'Oscar, il BAFTA Award e l’American Society of Cinematographers International Award alla carriera), vanno segnalati gli otto Nastri d'argento, i cinque David di Donatello, di cui uno alla carriera e uno speciale, e il Camerimage Lifetime Achievement Award. Giuseppe “Peppino” Rotunno ci lascia il 7 febbraio del 2021: il cordoglio del cinema mondiale è unanime.