Anche in questo caso hai ignorato qualunque influenza visiva da parte dei precedenti film di Kiarostami?
Sì. Premetto: amando il cinema di Kiarostami, ero ben preparato sui suoi lavori precedenti. Mi documento sempre sulle opere di un regista con cui mi accingo a lavorare. Non potrei mai fare un film con qualcuno di cui non conosco i lavori precedenti. I film realizzati da ogni regista sono il motivo stesso per cui scelgo di collaborare con qualcuno. Non è solo la sceneggiatura a convincermi ad accettare una proposta, ma il nome del regista, il suo percorso. Ovvio che gli esordienti siano sempre una scommessa. Al tempo stesso, però, se reputo necessario conoscere le esperienze artistiche di un regista, considero totalmente irrilevante conoscerle da un punto di vista fotografico. Penso che il regista si aspetti da me qualcosa di diverso o perlomeno di adeguato al film in lavorazione, dunque non mi interessa sapere come sono stati illuminati i film precedenti, preferisco non saperlo e cerco in ogni caso di non farmene influenzare. Cambiando direttore della fotografia i registi decidono di cambiare stile, ragione in più per non essere influenzati a livello visivo dai loro lavori precedenti. Tranne alcune eccezioni, come nel caso di Ciprì e Maresco, perlomeno del primo film che abbiamo fatto insieme, ma loro erano registi e fotografi insieme.
Come andò la lavorazione in Toscana?
Dal punto di vista umano la lavorazione fu eccellente. I luoghi erano meravigliosi, le ore di lavoro giornaliero poche perché Abbas ha le idee molto chiare. Pochissimi ciak, pochissime inquadrature, scene molto studiate e molto precise. Ci sono state alcune riprese con camera a mano abbastanza complesse, di cui una molto lunga: quella con la camera che parte da un parcheggio, attraversa un androne dove c’è un fotografo di matrimoni, sale una scalinata a precedere gli attori, entra in un museo. Nel corso di quella ripresa dovetti fare numerosi cambi di diaframma. Uso spesso il cambio di diaframma all’interno di una medesima ripresa, è qualcosa che nella prassi tradizionale non si dovrebbe fare, ma lo trovo molto utile e molto funzionale. Il cambio può essere addirittura invisibile se fatto lentamente, con attenzione e nel momento opportuno. Tra l’esterno del parcheggio assolato e l’interno dell’androne ci saranno stati 12 diaframmi di differenza. Per compensare lo squilibrio luminoso avrei dovuto mettere molte luci nell’androne, ma così non ci sarebbe stato spazio per gli attori. Come altre volte, ho preferito usare poche luci e cambiare diaframma con accorgimenti di inquadratura e di movimento per non far trasparire il cambio. È uno dei principi di quella che definisco estetica della leggerezza, che viene sempre accolta con favore dai registi con cui lavoro. E fu accolta anche in quel caso da Abbas. Mi spiace solo che abbiamo girato con la RED, perché Abbas voleva filmare e poi montare la sera stessa. Il video era la scelta più snella e veloce. C’erano già stati casi in cui avevo abbandonato la pellicola a favore del digitale, ma non avevo ancora mai utilizzato la RED. È uno strumento infernale (sorride), a mio avviso non rende giustizia ai colori e li priva di qualunque densità, sebbene l’immagine sia molto nitida e senza alcuna grana. Amo l’immagine morbida, non mi piace il fatto che la tecnica stia evolvendo verso la nitidezza clinica e purificatrice, che a mio avviso non costituisce un valore e non è necessaria. Questa mania di vedere nella più alta risoluzione anche i pori sui volti degli attori non la comprendo davvero (sorride)…