Ci ha lasciato ieri (Roma, 7 febbraio 2021) Giuseppe Rotunno AIC-ASC, tra i più importanti cinematographers della Storia del Cinema. Nato a Roma il 19 marzo del 1923 ‒ quarto di cinque figli ‒, Giuseppe “Peppino” Rotunno è considerato tra i più grandi interpreti della cinematografia mondiale: dopo la morte del padre Silvio, sarto di professione, originario della città di Fondi (città natale anche del regista Giuseppe De Santis e del cinematographer-premio Oscar Pasqualino De Santis), il giovanissimo Giuseppe si vede costretto a diciassette anni ad abbandonare gli studi in cerca di lavoro, per contribuire alla sussistenza della propria famiglia. Presso gli Studi cinematografici di Cinecittà riesce a farsi assumere nel rinomato Studio fotografico di Arturo Bragaglia, in qualità di addetto alla correzione dei negativi e allo sviluppo, stampa e lucidatura delle fotografie, mentre successivamente si cimenterà anche nell’arte della fotografia di scena. Grazie all’intercessione dello stesso Bragaglia, quindi, Rotunno viene assunto nell’adiacente reparto operatori in qualità di consegnatario-macchina, reparto diretto da Anchise Brizzi, uno dei pionieri della cinematografia italiana, che nel 1946 avrebbe firmato, tra l’altro, Sciuscià (1946) di Vittorio De Sica.
Rotunno inizia ufficialmente la sua incredibile avventura artistica come assistente operatore per autori come Václav Vích (La corona di ferro, 1941), Rodolfo Lombardi (L’uomo dal venuto dal mare, 1942), Renato Del Frate (La bisbetica domata, 1942). Nel 1943 grazie a Roberto Rossellini ha la possibilità di “debuttare” come operatore in alcune sequenze nel film L’uomo della croce, in cui è assistente operatore.
A causa del secondo conflitto mondiale, la sua nascente carriera è costretta a subire una forzata pausa: passeranno tre anni prima del ritorno al cinema, sempre come assistente, con il film Aquila nera (1946), regia di Riccardo Freda. Rotunno viene arruolato nel reparto cinematografico dello stato maggiore dell'esercito (VIII genio, lo stesso in cui è Gianni Di Venanzo) e inviato in Grecia, dove stringe un’ottima intesa con il regista Michele Gandin. Catturato dai tedeschi, viene deportato in Germania, nei lager di Hattingen e Winten, dove lavorò anche come proiezionista in un cinema civile. Insieme a Gandin continuerà a collaborare, anche dopo l’esperienza bellica, a diversi documentari come Cristo non si è fermato a Eboli (1952). Tornato in patria, Rotunno riprende la propria attività cinematografica con il già ricordato Aquila nera, e, sempre in qualità di assistente, collabora con autori come Rodolfo e Guglielmo Lombardi, Gábor Pogány (Genoveffa di Brabante, 1947), Leon Shamroy (Il principe delle volpi, 1949), mentre con Carlo Carlini esordisce ufficialmente come operatore alla macchina con il film diretto da Aldo Molinari Sangue di nomadi (1951). L’incontro decisivo per la sua carriera avviene l’anno dopo quando incrocia il proprio destino professionale in Aldo Graziati, noto anche come G.R. Aldo (superbo innovatore della luce neorealista italiana): il film in
questione è Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica, tributo del regista al padre Umberto. La collaborazione con Aldo è fondamentale per la carriera di Rotunno, i due collaborano infatti anche a Tre storie proibite (1952) di Augusto Genina, La provinciale (1953) di Mario Soldati, Stazione Termini (1953) di Vittorio De Sica, una parte dell’episodio diretto da Visconti (con Anna Magnani) in Siamo donne, film collettivo del 1953 (diretto inoltre da Gianni Franciolini, Alfredo Guarini, Roberto Rossellini, Luigi Zampa), Othello di Orson Welles (1951) e soprattutto Senso (1954), ancora di Visconti. Il film,con Alida Valli e Farley Granger, ispirato all'omonima novella di Camillo Boito, il primo a colori per Visconti, fu segnato dalla tragica fine di Aldo che muore prematuramente in seguito ad un incidente automobilistico tra Padova e Venezia. Venne sostituito da Robert Krasker, che a sua volta però abbandonò il set e fu così lo stesso Rotunno a portare a termine le riprese (si pensi alla mirabile sequenza della fucilazione di Franz). Senso, seppur non ufficialmente,
rappresenta il suo esordio come cinematographer, esordio che verrà seguito da Pane, amore e… (1955) di Dino Risi. L’anno dopo è sul set di Montecarlo (1956) diretto da Samuel A. Taylor con la supervisione di Vittorio De Sica (protagonista della pellicola), dove ha modo di sperimentare il Technirama a 8 perforazioni 35mm. Gli anni ’50 proseguono nel segno della ricerca cromatica in film come La maja desnuda (1958) diretto da Henry Koster, basato sulla vita del pittore spagnolo Francisco Goya, in cui illumina in tutta la sua bellezza la diva Ava Gardner. Visconti quindi lo vuole ancora con sé per Le notti bianche (1957) e il successivo Rocco e i suoi fratelli (1960), entrambi illuminati in un magistrale bianco e nero. Gli anni ’50 si chiudono con L’ultima spiaggia (1959) di Stanley Kramer, che lo avvicina alle grandi produzioni hollywoodiane, e La grande guerra (1959) di Mario Monicelli. I suoi anni ’60 quindi si segnalano per film come Fantasmi a Roma (1961) di Antonio Pietrangeli, con Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Edoardo De Filippo (dove Rotunno si occupò magistralmente anche degli effetti speciali realizzati in diretta), I due nemici (1961) regia di Guy Hamilton, Cronaca familiare (1962), I compagni (1963) regia di Mario Monicelli, il capolavoro Il Gattopardo (1963) regia di Luchino Visconti, Ieri, oggi, domani (1963) regia di Vittorio De Sica, il kolossal La Bibbia (1966) regia di John Huston, Lo straniero (1967) di nuovo con Visconti e per l’incontro con Federico Fellini ‒ diverrà magnifico interprete del suo genio visionario ‒ con l’episodio Toby Dammit (con Terence Stamp) nel film collettivo Tre passi nel delirio (oltre a Fellini, Roger Vadim e Louis Malle).
Il Gattopardo è senza dubbio il film che segna l’intero decennio, con l’uso sapiente della luce naturale e di quella artificiale: denso di suggestioni pittoriche, girato con tre macchine da presa, riuscì a trasporre alla perfezione le pagine del romanzo di Tomasi da Lampedusa, con sequenze celebri come quella del ballo (girata di notte), impreziosito dalle centinaia di candele che dovevano essere continuamente accese ad ogni sessione di riprese. Il decennio si chiude con Fellini Satyricon (1969), altra magistrale prova cromatica di Rotunno. La collaborazione con Fellini continua negli anni ’70 con I Clowns (1970) – solo parzialmente – Roma (1972), Amarcord (1973) –pellicola premiata con l’Oscar come miglior film straniero – Il Casanova di Federico Fellini (1976), Prova d'orchestra (1979) per proseguire e terminare negli anni ’80 con La città delle donne (1980), E la nave va (1983). Sempre nei ’70 Rotunno collabora nuovamente con Vittorio De Sica – I girasoli (1970), con Mike Nichols per Conoscenza carnale (Carnal Knowledge, 1971) con Jack Nicholson e il cantate Art Garfunkel, Lina Wertmüller con Film
d'amore e d'anarchia: ovvero "Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…" (1973), con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, Tutto a posto e niente in ordine (1974) e La fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1978), Divina creatura (1975) regia di Giuseppe Patroni Griffi, per concludere infine il decennio con la trasferta americana di All That Jazz - Lo spettacolo comincia (All that Jazz, 1979) del coreografo e regista statunitense Bob Fosse, reduce da film come Sweet Charity - Una ragazza che voleva essere amata
(Sweet Charity, 1969), Cabaret (1972) ‒ con cui si aggiudicò l’Oscar come miglior regista ‒ e Lenny (1974). Il film, interpretato da Roy Scheider e Jessica Lange, è una sorta di omaggio al felliniano 8½ ‒ il protagonista Joe Gideon è infatti l’alter ego di Fosse, rappresentato mentre cerca di mettere in scena un nuovo spettacolo teatrale ‒ e ottenne ben quattro Premi Oscar (e la Palma d’oro a Cannes). La fotografia di Rotunno venne “omaggiata” con una meritatissima Nomination, memorabile la sequenza del numero dell’addio alla vita. Rotunno ottenne per il film l’altrettanto prestigioso BAFTA Award, equivalente inglese della celebre statuetta. L’anno successivo è a Malta per illuminare Popeye (1980), interpretato da Robin Williams, per la regia di Robert Altman. Gli anni ’80 quindi, dopo l’esperienza con Altman, lo vedono collaborare spesso a produzioni
internazionali come: Il volto dei potenti (1981) di Alan Pakula, Cinque giorni, un'estate (1982) di Fred Zinnemann, Yado (1985) di Richard Fleischer, Poliziotto in affitto (1987) diretto da Jerry London e Le avventure del barone di Munchausen (1988) di Terry Gilliam. Nel 1984 illumina il surreale viaggio nel tempo di Non ci resta che piangere, con Roberto Benigni e Massimo Troisi, mentre per Peter Del Monte realizza in elettronica (HDTV) Giulia e Giulia (1987). Ne Il sogno di Leonardo (1989), diretto dal mago degli effetti speciali Douglas Trumbull (2001: Odissea nello spazio, 1968 e Blade Runner, 1982), corto interpretato da Jo Champa e Philippe Leroy, sperimenta inoltre lo Showscan, sistema di ripresa ideato dallo stesso Trumbull. Nello stesso anno si confronta con l’Opera, curando la fotografia filmata (con proiezioni a cura di Mario Bernardo) del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, con la regia di Luca Ronconi (presso la Scala di Milano, con
orchestra diretta da Riccardo Muti). Vent’anni dopo nel 1991 Rotunno torna a collaborare con Nickols per A proposito di Henry (1991), con Harrison Ford, e Wolf (1994), con Jack Nickolson e Michelle Pfeiffer. Nel 1995 è ancora a Hollywood per il remake di Sabrina, regia di Sidney Pollack; seguiranno quindi La notte e il momento (1995) regia di Anna Maria Tatò, La sindrome di Stendhal (1996) regia di Dario Argento. Gli anni ’90, che si erano aperti con Mio caro dottor Gräsler ‒ film del 1990 diretto da Roberto Faenza ‒, si chiudono con Marcello Mastroianni: Mi ricordo, sì, io mi ricordo (1997) per la regia di Anna Maria Tatò ‒ girato durante le riprese di Viaggio all'inizio del mondo di Manoel de Oliveira, ultimo film interpretato da Mastroianni. Il film intervista della Totò è l’ultimo lavoro per il grande schermo di Rotunno.
Dal 1988 fino al 2013 Rotunno è stato docente responsabile del Corso di Fotografia presso il Centro Sperimentale: tra i suoi allievi che hanno fatto strada da segnalare Vladan Radovic, Alfredo Betrò, Antonio Grambone, Davide Manca, Federico Annicchiarico, Ferran Paredes Rubio, Matteo Cocco. Sempre attento alla memoria storica del cinema e alla sua conservazione, ha supervisionato il restauro di moltissimi capolavori del cinema italiano come: Senso, Il Gattopardo, La Terra trema, Rocco e i suoi fratelli, Le notti bianche, Ossessione, Lo straniero. C'eravamo tanto amati, Una giornata particolare, L'Armata Brancaleone. Nel 1966 Rotunno è stato il primo cinematographer non avente cittadinanza statunitense ad essere ammesso (con l’intercessione del collega Leon Schamroy) tra i membri dell'ASC – la prestigiosa e storica American Society of Cinematographers. A partire dal 2009 infine il Bif&st - Bari International Film Festival – ideato e diretto da Felice Laudadio ‒ assegna un premio di fotografia intitolato a lui.