In occasione dei Nastri d’Argento 2024, dove era candidato in sette categorie, tra le quali miglior regia, torniamo su un film , Enea di Pietro Castellitto, che ci aveva interessato molto per il suo ritratto originale, e dall’interno, della borghesia romana. Ne abbiamo parlato con il costumista Andrea Cavalletto.
Due parole su "Enea" di Pietro Castellitto
Ho letto la stroncatura, anzi l’invettiva, che Christian Raimo rivolge al film di Pietro Castellitto, Enea, e ne prendo spunto. Raimo esprime la “rabbia di classe” che si ha contro una famiglia ricca e potente, radicata nel cinema. Sicuramente è vero che si vorrebbe che tanti altri talenti potessero godere degli stessi mezzi e delle stesse facilitazioni. Ma c’è un ma, oltre al ricordo del fatto che a Raimo proprio non era piaciuto Liquorice Pizza. Discorsi politici, anticapitalisti e antilobbisti sono in generale legittimi, ma penso che sia necessario saper distinguere tra questi e i discorsi estetici, per onestà intellettuale. Fin qui, insomma, per dire che secondo me il film c’è, e con un portato di profondità e originalità che non mi aspettavo.
"Il generale dell’armata morta" di Luciano Tovoli: storia e analisi di un film dimenticato
Una questione di rimozione
In Italia c’è una cosa che si chiama rimosso coloniale. È quel fenomeno storico, politico e sociale per cui le responsabilità dell’Italia nel colonialismo europeo sono state sostanzialmente dimenticate – “rimosse” per l’appunto – dall’opinione pubblica e dalle istituzioni, ugualmente pronte a bollare il nostro passato coloniale come “un’avventura”, nell’ingenua convinzione che gli italiani, in Abissinia, in Libia o in Albania, siano stati “brava gente”. La documentazione sull’utilizzo di gas tossici sulle popolazioni prova quanto sia storicamente infondata questa confortante certezza, ma il rimosso coloniale continua a influenzare l’atteggiamento dell’Italia come Stato e degli italiani come nazione anche rispetto a fenomeni contemporanei quali l’immigrazione dall’Africa. Laddove altri paesi europei, in particolare la Francia, hanno pubblicamente riconosciuto le loro colpe – pur continuando a sfruttare il Terzo Mondo in maniera ancora più subdola – e i cittadini hanno acquisito consapevolezza di quanto accaduto nei paesi colonizzati, il nostro passato coloniale è trattato frettolosamente dagli stessi libri di scuola. Questo rimosso ha echi anche al cinema. Se i registi italiani si sono affrettati sin da subito ad analizzare il trauma della Seconda Guerra Mondiale e l’esperienza della Resistenza e della ricostruzione, il colonialismo italiano ha avuto una scarsa trattazione, destinata ad affievolirsi ulteriormente nel volgere dei decenni per quanto riguarda il cinema di finzione, mentre parallelamente il documentario indipendente riscopriva l’argomento come terreno fecondo da esplorare ‒ If Only I Were that Warrior di Valerio Ciriaci, presentato al Festival dei Popoli del 2015, è un ottimo esempio in merito e intervista alcuni degli ultimi sopravvissuti del Massacro di Debra Libranos. Paradossalmente anche un regista impegnato come Gillo Pontecorvo realizzò La battaglia di Algeri, provocando grande scandalo a Venezia per la vittoria del Leone d’Oro, ma nulla sul colonialismo italiano.