La guerra dei mondi

L’amore come eschaton laico (prima parte). Solo gli amanti sopravvivono

L’amore  come  eschaton  laico  (prima  parte).  Solo  gli  amanti  sopravvivono

La nausea o la noia o l'assurdo o l'incomunicabilità, la catastrofe della figura o della melodia a noi interessa soltanto come clinici della cultura, che intendono partecipare a un consulto decisivo. Senza dubbio non si tratta della concezione oggettivistica della malattia, che da una parte pone il medico sano e, dall'altra, il malato: qui il medico che lotta contro il morbo lo deve vincere prima di tutto in se stesso.

Ernesto De Martino, La fine del mondo, cap. V

Per il legame inestricabile che nella cultura occidentale si è venuto a formare fra Apocalisse e fede religiosa in un eschaton positivo (ma anche fra Apocalisse e condanna degli ingiusti, Apocalisse come castigo quindi), è inevitabile che gran parte dei film apocalittici contengano tematiche di fede, sia pure come meri accenni o semplici sottotrame. Abbiamo già parlato della tematica scritturale che avvolge tutto Codice: Genesi. Anche Io sono leggenda di Will Smith, di pochi anni anteriore, mostrava due degli ultimi sopravvissuti della razza umana litigare sul fatto che Dio esistesse o no; nel romanzo Cell di Stephen King, subito dopo che un misterioso segnale trasmesso dai telefonini ha trasformato gran parte dell’umanità in zombie, i tre protagonisti in fuga da Boston hanno uno scontro prima verbale e poi addirittura fisico con una testimone di Geova che li accusava di fornicazione e che vede tutta l’epidemia zombie come un castigo divino contro l’aborto legalizzato.

Umanità come presenza. L'immaginario post-apocalittico

Umanità come presenza. L'immaginario post-apocalittico

Dopo il primo articolo Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche. L’escatologia di Roland Emmerich, prosegue la serie di Ludovico Cantisani sul tema dell’Apocalisse nel cinema contemporaneo. L'analisi prende spunto da La fine del mondo di Ernesto De Martino e dalla differenza da lui posta tra apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche.


L’
esserci come esser-nel-mondo rimanda alla vera condizione trascendentale del doverci essere. L’uomo è sempre dentro l’esigenza del trascendere, e nei modi distinti di questo trascendere l’esistenza umana si costituisce e si trova come presenza al mondo, esperisce situazioni e compiti, fonda l’ordine culturale, ne partecipa e lo modifica. Linguaggio, vita politica, vita morale, arte e scienza, filosofia, simbolismo mitico-rituale procedono da questo ethos: l'antropologia non è che la presa di coscienza sistematica di questo ethos, la determinazione dei distinti modi del suo manifestarsi storico.

Ernesto De Martino, La fine del mondo, cap. 2