Paolo Carnera (Venezia, 1957), dopo essersi diplomato nel 1982 al Centro Sperimentale di Cinematografia, tra la fine degli anni ’80 e i primi anni Duemila gira alcuni dei primi film di registi quali Paolo Virzì, Francesca Archibugi, Edoardo Winspeare e Sergio Rubini. Fra il 2008 e il 2010 cura la fotografia della serie televisiva di Romanzo criminale, diretta da Stefano Sollima, con cui gira anche il lungometraggio ACAB - All Cops Are Bastards del 2012, che gli vale la sua prima candidatura ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento. Continuando ad alternare cinema e televisione negli anni seguenti Carnera è dietro la macchina da presa delle serie Gomorra e ZeroZeroZero, tratte dalle opere di Saviano, e del film Suburra sempre di Sollima, per il quale riceve una seconda nomination ai David. Nel 2018 firma la fotografia de La terra dell’abbastanza, film d’esordio di Damiano e Fabio D’Innocenzo; due anni dopo il suo lavoro per Favolacce, secondo film dei due fratelli, gli frutta un grande successo di critica e la vittoria del suo primo Nastro d’Argento.
L’utopia soffocante delle narrazioni. Conversazione con Rick Alverson
Rick Alverson, nato a Spokane (Washington) nel 1971, è un regista e musicista americano. Ha debuttato nel 2010 con il lungometraggio The Builder, la storia di un migrante irlandese che cerca di conciliare l’ideale del sogno americano e la sua effettiva realizzazione nel mondo, seguito nel 2011 da New Jerusalem. Nel 2013 il suo terzo lungometraggio, The Comedy, è stato presentato al Sundance Film Festival, e nel 2015 il suo quarto film Entertainment è stato selezionato sia al Sundance che al Festival del Cinema di Locarno e ha ottenuto un grande successo di critica. Nel 2018 è stato presentato alla 75° Mostra del Cinema di Venezia quello che attualmente è il suo lavoro più recente, The Mountain, un’esplorazione “antiutopistica” dell’America e delle sue contraddizioni, con Jeff Goldblum, Tye Sheridan, Udo Kier e Denis Lavant. The Mountain, ambientato negli anni ’50 e ispirato alla biografia del tristemente noto neurologo americano Walter Freeman, racconta un lungo viaggio attraverso la provincia americana dove l’acclamato medico Wallace Fiennes offre operazioni di lobotomizzazione su uomini e donne di ogni età che soffrono di malattie mentali o che hanno manifestato comportamenti troppo ribelli per gli standard del tempo; il film è narrato dalla prospettiva del giovane Andy che, dopo la morte di sua madre, una “paziente” di Fiennes, e di suo padre, segue il dottore come assistente e un fotografo.
The suffocating utopia of narratives. Conversation with Rick Alverson
Rick Alverson, born in Spokane, Washington, in 1971, is an American film director and musician. He debuted in 2010 with the feature film The Builder, the story of an Irish immigrant struggling to reconcile the American ideal and its manifestation in the real world, which was soon followed by 2011 New Jerusalem. In 2013 his third movie, The Comedy, premiered at Sundance Film Festival, and in 2015 his fourth feature Entertainment was screened at Sundance and at Locarno Film Festival with high critical praise. In 2018 at the 75th Venice Film Festival premiered his to date most recent work, The Mountain, an antiutopian exploration of America and her contradictions starring Jeff Goldblum, Tye Sheridan, Udo Kier and Denis Lavant. The Mountain, set in the 1950s and freely inspired to the biography of the infamous neurologist Walter Freeman, chronicles a long car ride through the American province where acclaimed doctor Wallace Fiennes on request performs lobotomization on men and women of any age who are either mentally ill or too rebellious; the movie is told by the perspective of the young Andy who, after the dead of his mother, a former ‘patient’ of Fiennes, and his father, follows the doctor as an assistant and a photographer.
La scuola di Sokurov. Conversazione con Alexander Zolotukhin
Si ringraziano, per la traduzione dal russo all’italiano, Anna Dolgova e Perestroika.it
Alexander Zolotukhin è nato nel 1988 in Ucraina. Quando era bambino la sua famiglia si trasferiva frequentemente; tra i vari luoghi in cui ha vissuto ci sono la Bielorussia, la Russia e le steppe del Kazakistan. Si è laureato al seminario quinquennale di produzione cinematografica di Alexander Sokurov, alla Kabardino-Balkarian University. Nel 2011 ha girato il suo primo cortometraggio, New Promotheus, seguito l'anno dopo da Songs Were Sung Before I Was Born; nel 2016 ha realizzato il suo primo documentario, Esse. Nel 2019, il suo primo lungometraggio, A Russian Youth, è stato presentato in anteprima al Forum of Berlin International Film Festival. Per A Russian Youth la Russian Guild of Film Critics ha assegnato a Zolotukhin il premio per la migliore opera prima, e il film è stato nominato anche per la migliore fotografia.
Школа Сокурова. Разговор с Александром Золотухиным
Александр Золотухин родился в 1988 году в Украине. В детстве его семья часто переезжала; среди различных мест, где он пожил были: Белоруссия, Россия, степи Казахстана и Кавказ. Окончил пятилетний курс в режиссерской мастерской Александра Сокурова в Кабардино-Балкарском университете. В 2011 году он снял свой первый короткометражный фильм «Новый Промотеус», а в следующем году «Песни были спеты до того, как я родился»; в 2016 году он снял свой первый документальный фильм эссе. В 2019 году его первый полнометражный фильм «Мальчик Русский» был впервые показан на Берлинском международном кинофестивале. За «Мальчика Русского» Российская гильдия кинокритиков наградила Золотухина премией за лучший фильм-дебют, фильм также был номинирован за лучшую операторскую работу.
Volti, sogni e un Cristo sardo. Conversazione con Giovanni Columbu
Giovanni Columbu (Nuoro, 1949), laureato in architettura, disegnatore e pittore, è stato assessore alla cultura a Quartu Sant’Elena (CA). Ha lavorato alla RAI di Cagliari realizzando diversi documentari tra cui Visos, sogni, visioni, avvisi, vincitore del Prix Italia e del premio alla sceneggiatura Equinoxe e selezionato dal Sundance Institute, e Villages and Villages, vincitore del Prix Europa nel 1990. Con la casa di produzione Luches ha realizzato il suo primo lungometraggio, Arcipelaghi. Nel 2012 ha realizzato Su Re, rilettura della Passione di Cristo trasposta in Sardegna e parlata in sardo, premio della Critica e il premio Signis al Buenos Aires Festival Internacional de Cine Independiente. Del 2017 è il documentario Surbiles, presentato al Festival di Locarno e distribuito da Istituto Luce - Cinecittà.
The evil in the world. Conversation with Kristof Hoornaert
Kristof Hoornaert, born in 1980, is a Belgian filmmaker. After studying Audiovisual Arts in Ghent and Brussels, he shot the short film Kaïn, which premiered in 2009 edition of Berlin International Film Festival. He later realized the no-budget short The Fall, selected in more than 40 film festivals worldwide, and Empire, premiered in 2015 Montreal World Film Festival and selected also for the BFI London Film Festival later that year. In 2017 has been released his first feature film, Resurrection, which premiered in Tallinn Film Festival and was later screened in Rotterdam International Film Festival; among the prizes the movie received there are the Capri Breakout Director Award, the Prix de la Critique at the Festival International de Cinéma d’Auteur de Rabat 2018 and a SIGNIS Award Special Mention Award at Religion Today Film Festival 2018.
Thanks to Laura Nartoon for having edited this text.
Resurrection is available on Amazon Prime
Il male del mondo. Conversazione con Kristof Hoornaert
Kristof Hoornaert, classe 1980, è un regista belga. Dopo aver studiato Arti Audiovisive a Ghent e a Bruxelles, ha girato il cortometraggio Kaïn (Caino), presentato nel 2009 al Festival di Berlino. Ha poi realizzato il cortometraggio a budget zero The Fall (La caduta), selezionato in più di 40 festival cinematografici in giro per il mondo; Empire (Impero), il suo terzo cortometraggio, è stato presentato al Montreal World Film Festival del 2015 e successivamente selezionato al BFI London Film Festival. Nel 2017 è uscito il suo primo lungometraggio, Resurrection, presentato al Tallinn Film Festival e successivamente selezionato anche al Festival di Rotterdam; fra i premi che il film ha ricevuto il Capri Breakout Director Award, il Prix de la Critique al Festival International de Cinéma d’Auteur di Rabat del 2018 e il SIGNIS Award Special Mention Award al Religion Today Film Festival del 2018.
Segnaliamo che Resurrection è disponibile su Amazon Prime
Con il digitale, alla ricerca della verità della pellicola. Conversazione con Vladan Radovic
In occasione dell’uscita del volume Il traditore, raccontato dall’autore della fotografia Vladan Radovic, pubblichiamo qui un’intervista più breve e generale sul percorso di Radovic. Nato a Sarajevo, esordisce come autore della fotografia nei primi anni Duemila, distinguendosi presto come uno degli artisti della luce più capaci e versatili della sua generazione. Tre volte candidato ai Nastri d’argento, nel 2015 ha vinto il David di Donatello per la fotografia di Anime nere, ricevendo una seconda candidatura nel 2017 per La pazza gioia. Nel 2019 Il traditore vede la collaborazione con Marco Bellocchio, che gli frutta diversi nuovi premi e candidature, tra le quali la candidatura al David di Donatello per la Migliore fotografia.
Armando Nannuzzi, la reinvenzione del bianco e nero. Conversazione con Daniele Nannuzzi
Il 14 maggio di diciannove anni fa ci lasciava Armando Nannuzzi (AIC), tra gli autori della cinematografia italiani più noti e talentuosi, vincitore di ben cinque Nastri d’argento. Gli rendiamo omaggio con il figlio d’arte Daniele, anche lui cinematographer e Premio David di Donatello per il film El Alamein - La linea del fuoco di Enzo Monteleone, nonché attuale Presidente dell’AIC (Autori Italiani della Cinematografia). In una conversazione che vuole essere anche una sorta di viaggio nell’età d’oro del cinema italiano.
Carlo Di Palma, lighting Woody Allen. Storia di un sodalizio artistico e di un'amicizia
Pasqualino De Santis: la lezione di Di Venanzo portata nel colore
Enciclopedia napoletana. Conversazione con Vincenzo Marra
Vincenzo Marra (Napoli, 1972) dopo alcuni anni come fotografo sportivo esordisce al cinema nel 2001 con il lungometraggio Tornando a casa, vincitore di 18 premi internazionali tra i quali il Miglior film della Settimana della Critica della Mostra di Venezia. Tornando a casa segna l’inizio di una ventennale carriera organicamente costruita attorno a una riflessione sulla città di Napoli e i suoi abitanti che procede di film in film. Fra le sue opere, sempre oscillanti fra cinema di finzione e documentario, si ricordano anche Vento di Terra, L’udienza è aperta, L’ora di punta con protagonista Fanny Ardant, Il gemello e L’equilibrio, presentato alle Giornate degli Autori di Venezia nel 2017 e candidato ai Nastri d’Argento per il miglior soggetto; ha inoltre partecipato, accanto a registi del calibro di Jean-Luc Godard e Ursula Meier, al film-collettivo I ponti di Sarajevo del 2014. Lo scorso ottobre è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma il suo ultimo lungometraggio, La volta buona, con Massimo Ghini protagonista; l’uscita nelle sale era prevista per il 13 marzo 2020 prima che l’emergenza Coronavirus imponesse la chiusura delle sale.
Il mostruoso come esorcismo. Il Godzilla giapponese e altri kaijū
Prosegue la rubrica di Ludovico Cantisani dedicata all’antropologia dell’apocalittica cinematografica.
Il principio fondamentale, sempre misconosciuto, è che il doppio e il mostro sono una cosa sola. Il mito, naturalmente, mette in rilievo uno dei due poli, generalmente il mostruoso, per dissimulare l’altro. Non c’è mostro che non tenda a sdoppiarsi, non c’è doppio che non celi una segreta mostruosità. È al doppio che si deve dare la precedenza, senza tuttavia eliminare il mostro; nello sdoppiamento del mostro quella che affiora è la struttura vera dell’esperienza.
René Girard, La violenza e il sacro, cap. VI
Apocalisse e sacrificio. Il cristologico inquieto di Andrej Tarkovskij
A pensare a Sacrificio viene sempre in me un’esitazione, quasi un terrore panico. Nessun film ha saputo aprire tali abissi di pensiero come l’opera ultima di Tarkovskij. Aleksandr (Erland Josephson) è un uomo di mezza età. Un tempo attore, adesso intellettuale e studioso, è sostanzialmente un uomo stanco di tutto. «Come sono i tuoi rapporti con Dio?» – «Assenti» è una delle prime battute del film. Aleksandr vive ritirato su un’isola semideserta con la moglie Adelaide, che non ama, le due domestiche Maria e Julia e il figlioletto affettuosamente soprannominato Piccolo Uomo, temporaneamente muto a seguito di un’operazione alla gola. Assieme alla sua casa di legno, il figlio è l’unica cosa che Aleksandr ancora ama. «In principio era la parola, ma tu stai zitto come il salmone», gli dice in una delle prime scene del film, dopo aver piantato con lui un albero mentre gli racconta la storia di un monaco che innaffiò ogni giorno un albero secco finché questo non fiorì.
L’amore come eschaton laico (seconda parte). Il Cristo nascosto
Nei precedenti articoli, applicando al cinema di fantascienza il modello di analisi proposto da La fine del mondo di De Martino per le apocalissi culturali, siamo partiti dai disaster movies di Roland Emmerich, che nel loro sottotesto rivelano ampie influenze dell’apocalittica cristiana, attraversando poi una serie di altri registi dall’immaginario post-apocalittico fino ad arrivare a Melancholia di Lars von Trier, apocalisse omnidistruttiva e atea; dal finale di Melancholia siamo poi ripartiti per mostrare come alcuni dei più recenti film che rappresentavano un mondo prossimo alla fine indicassero in un amore laico, famigliare o di coppia, l’ultima difesa contro l’apocalisse incombente. A questo punto vale la pena di rispolverare due delle più significative saghe di fantascienza degli anni ‘80-’90, che si relazionavano con la prospettiva dell’Apocalisse da un’ottica piuttosto particolare. La saga di Alien, iniziata nel 1979 con il capolavoro di Ridley Scott, racconta di gruppi di esseri umani che, vagando nello spazio, entrano in contatto con una specie aliena ferina e letale, gli xenomorfi. Se gli xenomorfi arrivassero sulla terra spazzerebbero via rapidamente ogni altra forma di vita; capeggiati nei primi quattro film della saga dall’iconico personaggio di Ellen Ripley (Sigourney Weaver), gli umani devono allora ad ogni costo tenerli lontani dalla Terra, combattendo, parallelamente, anche le corporazioni
L’amore come eschaton laico (prima parte). Solo gli amanti sopravvivono
La nausea o la noia o l'assurdo o l'incomunicabilità, la catastrofe della figura o della melodia a noi interessa soltanto come clinici della cultura, che intendono partecipare a un consulto decisivo. Senza dubbio non si tratta della concezione oggettivistica della malattia, che da una parte pone il medico sano e, dall'altra, il malato: qui il medico che lotta contro il morbo lo deve vincere prima di tutto in se stesso.
Ernesto De Martino, La fine del mondo, cap. V
Per il legame inestricabile che nella cultura occidentale si è venuto a formare fra Apocalisse e fede religiosa in un eschaton positivo (ma anche fra Apocalisse e condanna degli ingiusti, Apocalisse come castigo quindi), è inevitabile che gran parte dei film apocalittici contengano tematiche di fede, sia pure come meri accenni o semplici sottotrame. Abbiamo già parlato della tematica scritturale che avvolge tutto Codice: Genesi. Anche Io sono leggenda di Will Smith, di pochi anni anteriore, mostrava due degli ultimi sopravvissuti della razza umana litigare sul fatto che Dio esistesse o no; nel romanzo Cell di Stephen King, subito dopo che un misterioso segnale trasmesso dai telefonini ha trasformato gran parte dell’umanità in zombie, i tre protagonisti in fuga da Boston hanno uno scontro prima verbale e poi addirittura fisico con una testimone di Geova che li accusava di fornicazione e che vede tutta l’epidemia zombie come un castigo divino contro l’aborto legalizzato.
Après moi le déluge. Melancholia di Lars von Trier e l’apocalittica psicopatologica
La crisi nelle arti dell’occidente è crisi nella misura in cui la rottura con un piano teologico della storia e con il senso che ne derivava (piano della provvidenza, piano dell’evoluzione, piano dialettico dell’idea) diventa non già stimolo per un nuovo sforzo di discesa nel caos e di anabasi verso l’ordine, ma caduta negli inferi, senza ritorno, e idoleggiamento del contingente, del privo di senso, del relativo, dell’irrelato, dell’incomunicabile, del solipsistico… Sussiste il pericolo, nell’attuale congiuntura culturale, di molte catabasi senza anabasi: e questo è certamente malattia.
Ernesto De Martino, La fine del mondo, cap. V
Una donna affetta da depressione manda all’aria il suo matrimonio il giorno stesso delle nozze. Pochi mesi dopo un pianeta gigantesco si scontra con la Terra distruggendo ogni forma di vita, se non il pianeta stesso. Questa è, in una sintesi estrema ma fedele, la trama di Melancholia di Lars von Trier, presentato con non poco clamore al Festival di Cannes 2011, e dove la sua protagonista Kirsten Dunst ha vinto il Prix d'interprétation féminine.
Capitolo centrale della cosiddetta “Trilogia della depressione” del regista danese, Melancholia è allo stesso tempo una riflessione molto attenta e personale sulla depressione e una rappresentazione poetica e orgogliosamente anti-scientifica della fine del mondo. Lo spunto per Trier nacque da una seduta di psicoterapia a seguito di uno dei numerosi episodi depressivi di cui il regista ha fatto esperienza nel corso della vita; in quell’occasione il suo terapeuta gli aveva detto che in situazioni di pericolo le persone affette da depressione reagiscono in un modo più calmo e “razionale” perché pensano in partenza che tutto andrà nel peggiore dei modi. L’idea di questo rovesciamento dei ruoli confluì poi, complice il dilagare sul web di teorie apocalittiche all’avvicinarsi del fatidico 2012, in una storia divisa in due parti: il primo atto, intitolato Justine, dal nome della protagonista, mostra la festa per il matrimonio fra Justine e Michael, che lei rovina isolandosi in camera, rifiutandosi di avere rapporti con il neomarito e facendo sesso infine con un ragazzo a caso; basta questa serata a distruggere il suo matrimonio e a farle perdere il lavoro. Il secondo atto è intitolato Claire, dal nome della sorella della protagonista, interpretata da Charlotte Gainsbourg; mostra Justine, Claire, il figlio e il marito di quest’ultima prepararsi a vedere il passaggio davanti alla Terra del pianeta errante Melancholia, che però all’ultimo – come predetto da Justine – cambia la sua rotta dirigendosi contro il nostro pianeta.
Umanità come presenza. L'immaginario post-apocalittico
Dopo il primo articolo Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche. L’escatologia di Roland Emmerich, prosegue la serie di Ludovico Cantisani sul tema dell’Apocalisse nel cinema contemporaneo. L'analisi prende spunto da La fine del mondo di Ernesto De Martino e dalla differenza da lui posta tra apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche.
L’esserci come esser-nel-mondo rimanda alla vera condizione trascendentale del doverci essere. L’uomo è sempre dentro l’esigenza del trascendere, e nei modi distinti di questo trascendere l’esistenza umana si costituisce e si trova come presenza al mondo, esperisce situazioni e compiti, fonda l’ordine culturale, ne partecipa e lo modifica. Linguaggio, vita politica, vita morale, arte e scienza, filosofia, simbolismo mitico-rituale procedono da questo ethos: l'antropologia non è che la presa di coscienza sistematica di questo ethos, la determinazione dei distinti modi del suo manifestarsi storico.
Ernesto De Martino, La fine del mondo, cap. 2
Una questione di luce. Ricordando Alfio Contini
Ci ha lasciato Alfio Contini, tra i maggiori autori della cinematografia del nostro cinema: con lui se ne va un altro prezioso tassello della nostra storia culturale. Indiscusso anticipatore dello stile fotografico moderno applicato alla settima arte, Contini ha illuminato pellicole che si sono rivelate grandi successi di critica e di pubblico. Nella storia di quel processo creativo che è la fotografia cinematografica, occupa un posto di rilievo, fin dagli inizi, quando incomincia a muovere i primi passi nell’Italia del Neorealismo, quando a seguire attraversa gli anni della dolce vita e del boom economico, quando illumina dapprima la commedia cosiddetta “all’italiana” e poi un cinema decisamente meno leggero e più impegnato, e quando infine partecipa a una nuova stagione della commedia. Fedele collaboratore di Dino Risi, con il quale gira sette pellicole, tra le quali Il sorpasso, uno dei capolavori indiscussi del cinema italiano, Contini sembra a proprio agio nel cinema brillante, ma non tralascia incursioni nel cinema più esplicitamente d’autore. Collabora per esempio con Liliana Cavani, in film come Galileo e Il portiere di notte, Vittorio De Sica ne I girasoli, Michelangelo Antonioni, per Zabriskie Point e Al di là delle nuvole, fino a cimentarsi con il teatro classico con la trasposizione cinematografica di The Trojan Women del greco Michael Cacoyannis. Da ricordare il sodalizio con Adriano Celentano, con il quale gira, tra i tanti, il musical Yuppi du, film di grande successo.